Referendum lombardo-veneto/ La questione settentrionale e gli apprendisti stregoni

In questi giorni ho semplificato la comunicazione riguardo al referendum dicendo che sostanzialmente, qualsiasi risultato fosse emerso, non cambiava nulla e che era (e lo è stato) un mero e costosissimo sondaggio elettorale. In Lombardia poi non è nemmeno andata benissimo ai promotori, vista la partecipazione inferiore al 40% e visto che la vecchia matita usata in Veneto ha battuto in velocità i moderni sistemi informatici lombardi.

Ma oggi sarebbe assurdo liquidare il risultato dicendo che ha perso Maroni o ha vinto Zaia. In generale il risultato di oggi sta mettendo in discussione il principio mutualistico che è alla base di una società giusta, con l’illusione egoista che si pagheranno meno tasse pensando che sia la soluzione. Mentre questa non è la soluzione bensì il farmaco che lenisce il mal di pancia ma non lo guarisce. Anzi mettere in discussione questo principio mutualistico e solidale vuol dire renderci ancora più deboli nell’affrontare l’attuale modello di sviluppo
Questo non vuol negare che esista una “questione settentrionale” ormai antica; una questione rilanciata da una popolazione che si trova disarmata di fronte ai problemi reali, ai tagli alla sanità, alle basse pensioni e ai bassi salari, agli sprechi di altre pubbliche amministrazioni e dello stato centrale (anche se si tende a dimenticare gli sprechi e gli scandali della nostra amministrazione regionale e di molte nostre municipalità), ai tagli alla scuola, alle diseguaglianze sociali, ai danni provocati dall’evasione fiscale (anche se con un sorriso ho visto andare a votare per avere indietro il “residuo fiscale” alcuni che le tasse tendono a non pagarle), alla precarietà del lavoro che fino a pochi anni fa non esisteva. Il problema è che risposta dare a queste questioni e la risposta non può essere quella alimentata dalla destra populista, e rincorsa anche da una parte del PD, perché è una risposta che alimenta e divisioni tra cittadini e che mette in crisi l’architettura istituzionale del nostro Paese.
La risposta è tornare ad essere una sinistra politica e sociale che sia capace di formulare risposte ai problemi e non illusioni, e che ritrovi autorevolezza e abbandoni l’autoreferenzialità. Ma abbandoni soprattutto la subalternità culturale che la porta ad inseguire le destre sul loro terreno. E infatti, a mio parere, questa rincorsa acritica di parte del PD e di alcuni suoi sindaci lombardi, non è stata “assorbita” dalla popolazione anzi è stata decisamente respinta dalla maggioranza degli elettori del “si” di centro destra come dai tanti (la stragrande maggioranza) di sinistra che invece si sono astenuti. Anzi ora il possibile candidato del centrosinistra alle elezioni regionali Gori è stretto nella trappola di Maroni che, con grande prontezza, ha già gridato ai quattro venti che lo porterà a trattare con il governo. Come è stretto nella “confusione” di aver sostenuto prima un referendum che riduceva le autonomie delle regioni per poi invece porsi come paladino per aver più autonomie regionali. Come si può pensare che il cittadino non capti queste situazioni come poco logiche e strumentali? Specie quel cittadino delle provincie che è stato abbandonato da una politica di centro sinistra che ha optato per un impegno forte nelle città (come evidenziano i risultati del referendum) ma non nelle periferie?
Davanti a tanti apprendisti stregoni, serve con forza riportare un pensiero alto. Dopo il deserto creato dalle incapacità delle varie classi politiche che si sono succedute non sarà semplice, e ci vorrà molto tempo, anche perché mancano i momenti “formativi” e la “partecipazione” che si avevano in passato. Ma il passato è appunto tale, e ci serve non per rimpiangerlo bensì per avere le fondamenta per proporre un pensiero alto
Il pensiero alto è spiegare che nessuna autonomia locale può tenere per se il disavanzo fiscale altrimenti crolla il fondamento delle nazioni che si fondano sulla solidarietà dei loro popoli, aprendo continue crepe a cascata in quanto ci sarà sempre qualcuno che produce “di più”. Ma non basta spiegare, si deve proporre un progetto realistico come costruire una classe dirigente capace, come operare per ridurre il divario Nord-Sud non con slogan ma con azioni reali.. Il pensiero alto è quello di rivisitare il nostro Stato, non con azioni confuse come avvenuto sulle Provincie, ma con il coraggio di andare oltre il nostro “micro regionalismo” creando macroregioni all’interno appunto di una Europa non matrigna ma incubatrice di società eguale. Ecco che allora le richieste di autonomia (autonomia, non egoismo) avrebbero un loro portato maggiore e di qualità. Ma il pensiero alto lo si può proporre solo se la sinistra sarà capace di unirsi davanti ad una visione a lunga gittata e non facendosi “ingolosire” da possibili risultati dell’oggi, e senza la paura di essere magari in questo momento minoranza. In fin dei conti ormai è ampiamente dimostrato che non aver avuto la forza di essere se stessi per rincorrere il cosiddetto “elettorato moderato” non ha pagato, tanto in Italia che in tutta Europa. E che il vero riformismo non è cercare di ridurre l’impatto dell’attuale sistema che sviluppa diseguaglianze ma cambiare radicalmente l’attuale paradigma. [Massimo Cortesi, presidente Arci Lombardia]

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