Malta: la sfida dell’Europa nel Mediterraneo/ Intervista di Luigi Lusenti a Vinvent Caruana

Vicent Caruana è un docente universitario maltese. Il suo campo di studio e di intervento è quello dell’educazione allo sviluppo e della cooperazione internazionale. Prima di insegnare ha lavorato per molti anni, sugli stessi temi, con organizzazioni della società civile maltese. È stato partner in molti progetti di Arci e Arcs e ha contribuito alle tappe maltesi della carovana Antimafie. Lo abbiamo sentito come una voce attenta e critica sulla situazione dei richiedenti asilo nella piccola isola mediterranea. Come era logico la discussione si è allargata a molti temi correlati offrendo spunti vari e originali di riflessione.

D: Vincent, dal tuo osservatorio di docente e di esponente della società civile organizzata, quale è la situazione sulla questione dei rifugiati? Pare che Malta abbia chiuso tutti i suoi porti blindando le frontiere al dramma che avviene nel Mediterraneo.

R: I miei dati sono quelli ufficiali. Non ho altri riferimenti. E quelli dicono che i richiedenti asilo a Malta sono circa 8.000. Circa 18 stranieri ogni mille abitanti. In Svezia 24 ogni mille, in Italia 2,5 ogni mille. Ma non mi piace fare un ragionamento di sole cifre. Mentre noi continuiamo, a discutere l’emergenza prosegue e proseguono non solo i morti in mare ma anche le situazione disperanti e drammatiche. Io credo che noi dovremmo prima di tutto favorire l’accoglienza, poi discutere sulle problematiche che apre. Anche perché la politica di chiusura comunque non si interroga su come governare il fenomeno dei flussi migratori.

Serve ai nostri governanti un comportamento di questo genere: usare la situazione di disperazione di queste persone in un braccio di ferro con gli altri governi per raggiungere posizioni di forza. Io credo che la dignità delle persone non può essere messa in discussione. Questo deve essere il punto di partenza per qualsiasi politica.

D: Questo è il tuo sentire e quello delle ong della società civile. Ma l’opinione pubblica invece che percezione ha del problema?

R: Noi abbiamo un governo neo liberale che facendo il duro su queste problematiche vuole lanciare un messaggio ai cittadini: noi rimaniamo fermi sulle posizioni di chiusura. Non è nostra la responsabilità di quello che succede. È un governo che usa anche toni populisti, toni che invece di fermare i discorsi razzisti e xenofobi li nutrono dandogli legittimità.  C’è una responsabilità anche dei mezzi di informazione. Lì leggi giustificazioni all’atteggiamento del governo. A far diventare tutto senso comune delle persone ci vuole poco.

Mi piacerebbe ribaltare l’orizzonte. A Malta, e non solo, è il sistema di modello economico che abbiamo scelto a definire cosa è una persona. Un sistema dove una persona non è più tale ma solo un segmento del ciclo produttivo. Non hai un nome o una identità ma esisti in quanto parte della produzione.

E’ una politica che non riguarda solo i rifugiati. Anche chi viene a lavorare a Malta, magari per 5/6 mesi con un visto Schengena. A nessuno importa niente di loro. Nessuno pratica politica di inclusione. Sono persone che, nell’ottica governativa, non sono parte della società ma solo “oggetti” da utilizzare e sfruttare.  Eppure siamo un paese che ha bisogno di stranieri. Il Primo Ministro ha detto che ce ne servono, per l’anno corrente, almeno 13.000. Qui scatta la schizofrenia . Ci servono 13.000 cittadini stranieri e si impedisce lo sbarco a qualche centinaio di rifugiati.

D: Quale è la presenza di cittadini stranieri regolari a malta?

R: Nell’anno appena finito avevamo circa 55.000 stranieri regolari. Nello stesso anno sono arrivati 1.000 rifugiati attraverso sbarchi, quindi una piccola parte dei 13.000 chiesti dal Governo. Abbiamo agreement  con alcuni paesi. Dalla Serbia, ad esempio, arrivano molti addetti alla sicurezza. Dalle Filippine e da altri paesi africani giungono lavoratori per il sociale, tipo badanti.  Invece il numero di chi ha chiesto protezione, nel 2018, non è alto. Ufficialmente si parla di 1.800 persone.

D: Come funziona a Malta il sistema di richiesta di asilo?

C’è un commissario che deve verificare le domande. Nel frattempo il richiedente è ospitato in un centro di accoglienza, che a malta si chiamano Open Center. Sono luoghi, che per fortuna, si sono modificati negli anni. All’inizio era quasi una prigione dove nessuno poteva uscire per tutto il tempo della verifica della domanda, quasi 18 mesi. Ora i tempi si sono accorciati ma non sempre gli Open Center hanno standard minimi di vivibilità. Spesso come società civile dobbiamo portare vestiti, coperte, cibo.

Da questi open center, tranne le primissime settimane dopo l’arrivo, il rifugiato può uscire e svolgere attività lavorativa. Tradotto significa lavoro in nero, sfruttato e mal pagato. Con lo stipendio di un lavoratore maltese, l’imprenditore paga, in nero, tre rifugiati. E la gente si arrabbia con loro e non con l’imprenditore. E’ proprio un mondo alla rovescia, dico io. Gli “sfruttati” vengono accusati di rubare lavoro ai maltesi, seppur lo stesso governo affermi che serve personale da fuori l’isola, ma nessuno dice nulla sul “datore di lavoro”. Ultimamente un piccolo sindacato ha iniziato ad interessarsi a questo aspetto. E pure alle condizioni di vita nelle comunità straniere che hanno ricevuto il permesso di soggiorno perché non possiamo fermarci solo alla questione dell’accoglienza. C’è il problema della casa. Visto i bassi redditi, chi ha ottenuto il permesso di soggiorno si indirizza verso posti con affitti bassi, magari riempendo di molte persone pochi locali. In questo modo si formano ghetti che impediscono una reale integrazione.

Questa situazione ha però un aspetto positivo. Per la prima volta da anni c’è un interesse per la lingua maltese. Molti immigrati fanno i badanti e molti anziani non conoscono l’inglese. Per forza maggiore oggi si insegna e si impara di più la nostra lingua.

Purtroppo ad ogni positività corrispondono molte negatività. Così il Governo l’anno scorso ha detto che i rifugiati non possono lavorare nei municipi o in posti pubblici e pure ha negato il diritto di voto alle elezioni locali. Se pensiamo che l’integrazione avviene dal basso, dal territorio che vivi possiamo immaginare quale valore assumerebbe il diritto di volo alle elezioni locali.

D: In che modo si prepara Malta alle prossime elezioni europee?

R: Per me è ovvio che ci sono due idee di Europa. Il modello a cui tende il nostro governo non è un modello solo maltese. Per esempio vediamo cosa succede in Ungheria. Si chiude una università e la si dichiara illegale e l’Europa non dice nulla. Vuol dire che avalla, col suo silenzio, questa scelta, come pure le altre del governo Orban. Ci sono scelte fatte da singoli governi, anche in Italia, che non restano limitate ai confini nazionali. Se sono accettabili in Italia, in Polonia o in Ungheria vuol dire che sono accettabili per tutta l’Europa. Se si abbassa in un paese comunitario il concetto che abbiamo delle persone e dei loro diritti si abbassa  in tutta Europa.

Non so come andranno a Malta le prossime elezioni. Il nostro sistema è fortemente bipartitico. Spazio per esperienze come quella di Salvini in Italia non c’è se pensiamo alla possibilità di una forza sovranista e xenofoba come la Lega. Ma i partiti del sistema stanno assumendo queste posizioni populiste, le stanno facendo loro. Questo spinge la gente verso certe posizioni che sono contrarie allo spirito dei padri fondatori dell’Europa. A me spaventa la situazione italiana di oggi, se penso al lungo cammino che avere fatto per isolare e sconfiggere il fascismo. Mai nulla è scontato per sempre e quando ti poni il problema di una possibile vittoria di partiti di destra, vicino al fascismo vuol dire che hai già perso la partita culturale. L’hai persa nel territori mentali delle persone ancora prima che in quelli fisici dell’urna elettorale. [Luigi Lusenti]

 

 

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