Sabir/ Un tuffo nel Mediterraneo

L’unica scarpa ritrovata durante l’analisi degli effetti di una delle vittime del naufragio del 18 aprile 2015. Ogni reperto esaminato nell’hanger della base NATO viene catalogato con lo stesso codice della salma correlata. [Corpi Migranti]

Dal 28 al 30 ottobre: a Lecce tre giorni di convegni, mostre, musica e cultura. Sono ormai passati sette anni da quando nel 2014 grazie all’impegno dell’Arci e tante altre organizzazinoni, sulle sponde di Lampedusa, è nato Sabir, un festival incentrato sulla ricchezza delle culture che circondano il Mediterraneo.

A queste giornate di scambi, incontri internazionali e formazioni si sono alternate attività culturali che attraverso musica, concerti e immagini ci hanno fatto percorrere tutti i paesi e i popoli che circondano il Mediterraneo, mare da sempre solcato da migliaia di persone che purtroppo negli ultimi decenni sta diventando testimone di una scelta politica che porta a morte e sofferenza. Tutto ciò a noi genera molta tristezza e rabbia ed è per questo che esperienze come Sabir sono fondamentali: inizialmente per portare alla luce questi fatti drammatici e sensibilizzare i cuori e le menti delle persone, ma soprattutto, per agire e cercare di trovare una soluzione collettiva non caritatevole ma che punti a risolvere alla radice i problemi.

Abbiamo visto fotografie toccanti, immagini del Mediterraneo che negli ultimi decenni sta giocando un ruolo tragico, testimone della drammaticità delle migrazioni, luogo che è diventato – come lo definisce Papa Francesco – il “cimitero d’Europa”.

A ricordare queste tragedie vi era Corpi Migranti, una mostra che racconta il lavoro di identificazione dei corpi dispersi in mare nata dalle parole di un giovane camerunese: «Nel deserto vidi una tomba, era di una ragazza di Douala, e mi chiesi se suo papà e sua mamma, i suoi fratelli e le sorelle sapessero che la loro bimba è là». Abbiamo pensato alle donne, uomini e bambini che hanno perso la vita, ai loro corpi che hanno perso un nome, ai numeri che hanno preso il posto di nomi, scritte come ‘sconosciuto nr. 25’ o addirittura ‘africana’ a suggellare le solitarie lapidi di un cimitero siciliano. Tutto questo è la rappresentazione di una grave mancanza di identificazione; da un lato del Mediterraneo abbiamo delle persone che lavorano per restituire un nome a un corpo, dall’altro ci sono le famiglie dei dispersi che senza quel corpo non riescono a metabolizzare il lutto costretti quindi ad affrontare una perdita impossibile, a cui non riescono a credere.

Se l’immigrazione è sempre di più un oggetto politico che divide in pareri contrapposti, il linguaggio di queste immagini ci porta alla responsabilità di essere umani e dunque vogliamo ricordare che migrare è un diritto, è una necessità e una scelta di vita che a prescindere dalle motivazioni è degna e legittima: noi crediamo in una società in grado di accogliere e integrare le persone. Vogliamo stimolare coscienza perché c’è bisogno di una risposta collettiva per l’affermazione dei diritti di tutte e tutti, per farlo è necessario che il nostro paese riprendi a coltivare una cultura politica ormai dimenticata da anni. Dobbiamo convincerci che solo prendendo una reale consapevolezza delle ingiustizie che vediamo compiersi ogni giorno intorno a noi, possiamo sperare e agire per un domani migliore. [Mara Cacciatori, Somia El Hariry , Musa Drammeh, Nicolas Aiazzi, ecoinformazioni]

Ousmane e Abdou, fratelli di Mamadou, nella casa di famiglia. Uno studio della Croce Rossa descrive come è devastante l’effetto della mancanza di notizie per le famiglie dei dispersi. Senza un corpo identificato per loro è impossibile elaborare il lutto. [Corpi Migranti]
Una nipotina nella stanza di Mamadou, nella casa di famiglia. Sulla parete, la foto della giovane moglie di Mamadou che poco dopo la sua partenza ha dato alla luce un bimbo, anche lui Mamadou, che non ha mai conosciuto il padre. [Corpi Migranti]

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