eQua: contro disuguaglianze locali e globali

È iniziato nel pomeriggio di giovedì 7 aprile, nella sala Curò del Museo di scienze naturali di Bergamo ma anche online su Zoom e Facebook, eQua. Lotta alle disuguaglianze e diritti sociali [al tempo della guerra], primo incontro nazionale dell’Arci. La conferenza introduttiva, eponima di una tre giorni che vedrà discutere di disuguaglianze ed inclusione, Pnrr, corridoi umanitari e molti altri temi inerenti il terzo settore e l’associazionismo, ha visto intervenire Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, Luciana Castellina, presidente onoraria dell’Arci, Vittorio Agnoletto, portavoce di Nessun profitto sulla pandemia, Mario Pianta, professore alla Scuola normale superiore di Firenze, Maura Cossutta, dell’Assemblea della Magnolia, don Virginio Colmegna di Laudato sì e Martina Comparelli di Fridays for future.

Un luogo non casuale, Bergamo, la cui provincia è stata martoriata dalla pandemia causata da Covid-19, dramma che ha contribuito alla frantumazione del welfare e all’accentuarsi delle disuguaglianze sociali; ma la città è anche la prima capitale italiana del volontariato, titolo di cui si fregerà nel 2022 e che la rilancia nel terzo settore in un momento critico. Tra pandemia, crisi climatica e guerre, lottare per un mondo migliore è difficile, anche alla luce dell’ostruzionismo politico che rende complicato il lavoro verso una società più equa. Un compito però necessario, che Arci ha deciso di perseguire anche attraverso gli incontri tra 7 e 9 aprile.
Nel parlare di iniquità sociale, eQua non poteva che aprirsi rivolgendo un pensiero alla guerra russo-ucraina, ai profughi vittime delle volontà violente di chi ha potere, non solo a Kyiv, ma in ogni paese colpito dai conflitti.
Non solo pacifismo, comunque, ma anche lotta ad ogni discriminazione, un problema presente nella stessa Bergamo, come testimoniato da un portavoce sindacale di origine senegalese che ha raccontato il pestaggio di due suoi connazionali per mano fascista ed ha chiesto che le istituzioni si mettano all’opera per rendere i paesi destinazione delle migrazioni realmente inclusivi e sinceramente contro le disuguaglianze. Aspetti, questi, su cui è stata sollecitata anche la stampa, che troppo spesso piega i fatti a narrazioni xenofobe e razziste discriminando le persone migranti e alimentando pregiudizi e fascismi.

Non è facile inserire in questo quadro l’intervento di Giorgio Gori, che ha definito le disuguaglianze “un fatto quasi naturale che il progresso tecnologico e la globalizzazione hanno accentuato”. Partendo da questo assunto, il sindaco della città ospite ha proposto una lettura prettamente liberista impostata su tre livelli: su scala globale sembra che ci sia una riduzione delle differenze tra paesi; in Occidente, invece, si registra un accentuarsi delle disuguaglianze all’interno dei paesi; in Italia, infine, i dati produttivi sono talmente bassi da aver impedito di fatto l’allargamento della forbice tra i più ricchi e chi possiede meno. L’ascensore sociale è l’indicatore del benessere della popolazione e la possibilità di accedere a fattori di benessere quali reddito, salute ed istruzione. La politica ha il dovere di intervenire per assottigliare le disparità e valorizzare questi diritti, ma allo stato attuale delle cose la strada da fare appare lunga.

Dopo gli ulteriori ringraziamenti di Roberto Mazzetti, di Arci Bergamo, Daniele Lorenzi, presidente nazionale dell’Arci, e Andrea Polacchi, presidente di Arci Torino che ha chiuso questo polifonico (e a volte dissonante) cappello introduttivo, la prima plenaria di eQua è entrata ufficialmente nel vivo come elaborazione del pensiero e del dibattito contro le disuguaglianze. Questo infatti il vero, variegato e diffuso tema del primo incontro nazionale dell’Arci, nello spirito di progettare una concreta comunità di welfare universale, senza aziendalismi, nel nome di Resistenza e vicinanza alle persone. Come sottolineato da Raffaella Bolini eQua è dell’Arci, è inclusiva, è delle persone, e si può dire che si ispiri politicamente anche al motto citato dal libro Q di Luther Blissett (oggi Wu Ming): omnia sunt comunia, tutto è di tutti.

Luciana Castellina, prima relatrice e pacifista della primissima ora, è una figura di peso per avviare un congresso così sentito, e di spessore è anche il tema che ha portato: l’incompatibilità della pace con le armi, la necessità dell’antimilitarismo.
Secondo Castellina, siamo abituati alla guerra, assuefatti al nazionalismo e ad una prospettiva sulla storia che ci mostra che le pagine più dense sono quelle in cui ci si spara. Il problema è istituzionale: nel contingente russo-ucraino, non si può pensare di fermare la guerra fornendo le armi ad un paese che alla lunga non può vincere. Il rischio è che la guerra non faccia altro che estendersi a quelli che fino al ’91 erano “i blocchi” e che ora rischia di diventare uno scontro all’insegna dell’uso tattico e localizzato del nucleare tra la Russia e la Nato.
Castellina ha citato il papa per sottolineare un’ovvietà dell’antimilitarismo pacifista, che si struttura sulla logica militare: la guerra, anche se (ammesso che ne esistano) giusta, con gli armamenti attuali non si può fare. L’invasione ucraina finirà male come tutte le guerre aggressive (Vietnam, Iraq, Afghanistan), danneggiando aggressore ed invaso: per evitare il disastro serve un compromesso con mezzi non violenti col nemico.
Non è un caso che le superpotenze asiatiche ed oceaniche ed i paesi non Europei stiano mantenendo una linea prudente nello schierarsi. La logica Nato-contro-Russia andava ridimensionata già alla caduta dell’Urss. Serve rendere più equa (citando il titolo della tre giorni) la distribuzione del prestigio internazionale che vede la Nato fare ciò che vuole e punire, militarmente e con sanzioni, gli stati che osano agire sulla sua medesima linea. Bisogna, al contrario, re-includere la Russia e depotenziare la Nato in un sistema che rischia altrimenti una polarizzazione dei poteri globali sempre più estrema.
La guerra Ucraina non è la prima guerra post-1945, ma è più vicina all’Europa e crea più emozioni, più turbamento. È però una guerra come tutte le altre nel suo avere una logica che divide buoni e cattivi e giustifica alcuni bombardamenti piuttosto che altri. L’unico modo per estirpare questa logica è agire alla radice, eliminando le armi, il mezzo unico e sempre più distruttivo delle guerre.
In conclusione, una parola su eQua, che deve ripensare il welfare alla luce della difficoltà di rivedere il sistema produttivo e dei consumi ma dall’altro è forte della consapevolezza sempre più diffusa, anche al di fuori delle avanguardie, che una rivoluzione del modo di produzione e dei consumi è necessaria.

Dopo la crisi bellica, quella sanitaria. Vittorio Agnoletto ha portato il secondo intervento nell’apertura congressuale dell’Arci. Parlare di equità in Italia, soprattutto in Lombardia, non può che significare discutere il sistema sanitario. Se la Lombardia fosse uno stato, sarebbe all’ottavo posto dei luoghi con più mortalità. Questo non è, e qui il medico ha smentito Gori, un caso, bensì una precisa conseguenza del neoliberismo.
In un sistema di disuguaglianze, la salute è uno degli aspetti più interessati e la pandemia lo dimostra, sia per quanto riguarda la distribuzione ineguale dei vaccini, con la permanenza del rischio di recrudescenze della pandemia, sia per ciò che riguarda la maladistribuzione dei farmaci palliativi. Finché la sanità è privatizzata e sotto la direzione del mercato, finché il neoliberismo porta l’Unione europea a sprecare vaccini perché le industrie impediscono di donare i vaccini se non in prossimità di scadenza, la sanità non può, è strutturalmente impossibilitata ad essere equa. L’uguaglianza è possibile solo sul piano locale, grazie al volontariato (le brigate mediche cubane, venezuelane, rumene, albanesi venute in Lombardia ne sono esempio), ma queste azioni nascono da una visione che è altromondista e si oppone al liberismo. Non c’è via di mezzo.
La salute è un oggetto geopolitico tanto quanto le guerre: le medicine, le licenze sui farmaci sono a tutti gli effetti armi. Guerra nucleare o batteriologica? Secondo Agnoletto, è il dubbio che si profila all’orizzonte delle guerre globali future. Il dubbio etico, morale e politico, però è un altro: profitto o persone, privato o pubblico, disuguaglianza o equità. Questo è il piano valoriale su cui bisogna schierarsi anche sul piano esistenziale, radicalmente, senza zone grigie.

Le disuguaglianze, dunque, non solo come epifenomeno della contemporaneità, ma come strumento del capitalismo. A parlarne dandone una lettura accademica, Mario Pianta, che ha spiegato la connessione di globalizzazione, tecnologia e passaggio da una logica di sostentamento ad una di profitto.
Sono gli anni ’70 l’epoca in cui la politica ha iniziato a subire questa serie di fenomeni assecondandoli anziché contenendoli e contribuendo ad una polarizzazione della ricchezza sempre più estrema. Nel XXI secolo, per chi non è già ricco arricchirsi è di fatto impossibile, eppure una delle forze del sistema capitalista è quella di far apparire possibile qualunque vita, qualunque scelta, qualunque ricchezza.
In Italia ed in generale in Europa, l’interventismo dello stato (di cui infatti il liberismo si lamenta fin dalle sue origini teoriche) ha favorito un certo contenimento delle disuguaglianze e ha reso possibile un accesso ai servizi favorevole rispetto alla quantità di tasse pagate.
Per una società più equa serve ripoliticizzare i diritti fondamentali della persona e l’universalismo dei servizi che li renda accessibili, riavvicinando le persone alla comunità e alla dimensione partecipativa di una società che sembra sempre più inserita in un circolo vizioso di allargamento delle disuguaglianze, cui seguono nazionalismo, frammentazione sociale e, in ultima analisi, guerre.

Dopo aver parlato degli effetti globali delle disuguaglianze e averle definite in termini economici, eQua è scesa nello specifico trattando di disuguaglianze di genere e della rivoluzione della cura. A questo proposito ha preso parola, in collegamento da Roma, Maura Cossutta.
La pandemia è stata la prova definitiva dell’insostenibilità del paradigma neoliberista, ma la sua lezione riguardo il sistema in cui viviamo è stata tradita ed ignorata. Quella che poteva essere un’esperienza comunitaria di sofferenza ma anche di riflessione, critica e rilancio è stata invece ridotta all’imperativo del ritorno alla normalità che ha oscurato una serie di temi problematici della contemporaneità. Tra queste senza dubbio le differenze di genere, laddove la penalizzazione socioeconomica delle donne è stata accentuata dalla pandemia.
Dal fallimento neoliberista, soprattutto sul piano della cura intesa come protezione sociale, la rivoluzione della cura rimette al centro il quotidiano mirando a rendere i diritti accessibili per tutti e non più oggetti di mercato. L’individuo stesso, in questa prospettiva, deve riconnettersi col tessuto sociale uscendo dalla solitudine mascherata da indipendenza in cui lo proietta il capitalismo.
Il welfare che manca è ricostruito e distorto, e qui la critica femminsta, dal patriarcato, che restituisce una società diseguale, dalla vita privata arrivando fino alla questione migratoria. Parlare di cura è parlare di femminismo, welfare, intersezionalità e pace all’insegna di un cambiamento strutturale che, al susseguirsi di crisi e inequità, si fa sempre più urgente.
Sulla stessa linea ha proseguito don Colmegna, anche lui online, che ha sottolineato, in una società distrutta dal neoliberismo, l’importanza di una ricostruzione pacifista, che passi dalla comunità, dall’inclusione e dalla produzione non di valore, ma di senso ed energia culturale.
Disuguaglianza che, ha sottolineato in chiusura Martina Comparelli, collegata dal congresso nazionale di Fridays for future, si lega anche dal cambiamento climatico. Una società equa non può prescindere dall’analisi degli effetti della crisi climatica sulle persone e dalla proposta di manovre che colpiscano chi produce inquinamento e cioè, nel rapidissimo intervento della portavoce di Fff, i ricchi.

Foto Repubblica.it

eQua si apre dunque all’insegna dell’antiliberismo, contro l’ipocrisia politica che parla senza uno sguardo reale verso la comunità (non è stata la miglior serata per Gori, più volte citato ironicamente) e con una forte volontà di azione politica che restituisca welfare ed inverta la tendenza alla polarizzazione sociale.
L’8 e il 9 aprile saranno giornate di altre plenarie, tavoli specifici di lavoro per sviscerare le questioni messe sul tavolo su un piano pratico di autoformazione e di confronto delle esperienze territoriali. [Pietro Caresana, ecoinformazioni]



È iniziato nel pomeriggio di giovedì 7 aprile, nella sala Curò del Museo di scienze naturali di Bergamo, eQua. Lotta alle disuguaglianze e diritti sociali [al tempo della guerra], primo incontro nazionale dell’Arci. La conferenza introduttiva, eponima di una tre giorni che vedrà discutere di disuguaglianze ed inclusione, Pnrr, corridoi umanitari e molti altri temi inerenti il terzo settore e l’associazionismo, ha visto intervenire Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, Luciana Castellina, presidente onoraria dell’Arci, Vittorio Agnoletto, portavoce di Nessun profitto sulla pandemia, Mario Pianta, professore alla Scuola normale superiore di Firenze, Maura Cossutta, dell’Assemblea della Magnolia, don Virginio Colmegna di Laudato sì e Martina Comparelli, portavoce di Fridays for future.

Un luogo non casuale, Bergamo, la cui provincia è stata martoriata dalla pandemia causata da Covid-19. un dramma che ha contribuito alla frantumazione del welfare e all’accentuarsi delle disuguaglianze sociali; ma la città è anche la prima capitale del volontariato, titolo di cui si fregerà nel 2022 e che la rilancia nel terzo settore in un momento critico. Tra pandemia, crisi climatica e guerre, lottare per un mondo migliore è difficile, anche alla luce dell’ostruzionismo politico che rende complicato il lavoro ad una società più equa. Un compito però necessario, che Arci ha deciso di perseguire anche attraverso gli incontri tra 7 e 9 aprile.
Nel parlare di iniquità sociale, eQua non poteva che aprirsi rivolgendo un pensiero alla guerra russo-ucraina, ai profughi vittime delle volontà violente di chi ha potere non solo a Kyiv, ma da ogni paese colpito dai conflitti anche prima del 24 febbraio 2022. Non solo pacifismo, ma anche lotta ad ogni discriminazione, che non mancano nella stessa Bergamo come testimoniato da un portavoce sindacale di origine senegalese, che ha raccontato il pestaggio di due suoi connazionali per mano fascista ed ha chiesto che le istituzioni si mettano all’opera per rendere i paesi destinazione delle migrazioni realmente inclusivi e sinceramente contro le disuguaglianze. Tema su cui è stata sollecitata anche la stampa, che troppo spesso piega i fatti a narrazioni xenofobe e razziste discriminando le persone migranti e alimentando pregiudizi e fascismi.

Non è facile inserire in questo quadro l’intervento di Giorgio Gori, che ha definito un “fatto quasi naturale che il progresso tecnologico e la globalizzazione hanno accentuato”. Partendo da questo assunto, il sindaco della città ospite ha proposto una lettura prettamente liberale impostata su tre livelli: su scala globale sembra che ci sia una riduzione delle differenze tra paesi; in Occidente, invece, si registra un accentuarsi delle disuguaglianze all’interno dei paesi; in Italia invece i dati produttivi sono talmente bassi da aver impedito di fatto l’allargamento della forbice tra i più ricchi e chi possiede meno. L’ascensore sociale è l’indicatore del benessere della popolazione e la possibilità di accedere a fattori di benessere quali reddito, salute ed istruzione. La politica ha il dovere di intervenire per assottigliare le disparità e valorizzare i diritti sociali di tutti, ma allo stato attuale delle cose la strada da fare appare lunga.

Dopo gli ulteriori ringraziamenti di Roberto Mazzetti, di Arci Bergamo, di Daniele Lorenzi, presidente nazionale dell’Arci, e Andrea Polacchi, presidente di Arci Torino che ha chiuso questo polifonico (e a volte dissonante) cappello introduttivo, la prima plenaria di eQua è entrata ufficialmente nel vivo come elaborazione del pensiero e del dibattito contro le disuguaglianze. Questo infatti il vero, variegato e diffuso tema del primo incontro nazionale dell’Arci, nello spirito di progettare una concreta comunità di welfare universale, senza aziendalismi, nel nome di Resistenza e vicinanza alle persone. Come sottolineato da Raffaella Bolini eQua è dell’Arci, è inclusiva, è delle persone, è ispirata politicamente anche al motto che cita il libro Q di Luther Blissett (oggi Wu Ming): omnia sunt comunia, tutto è di tutti.

Luciana Castellina, prima relatrice e pacifista della primissima ora, è una figura di peso per avviare un congresso così sentito e così anche il tema che porta: l’incompatibilità della pace con le armi, la necessità dell’antimilitarismo. Siamo abituati alla guerra, assuefatti al nazionalismo e dalla storia che ci mostra che le pagine più dense sono quelle in cui ci si spara.
Il problema è istituzionale: nel contingente russo-ucraino, non si può pensare di fermare la guerra fornendo le armi ad un paese che alla lunga non può vincere. Il rischio è che la guerra non faccia altro che estendersi a quelli che fino al ’91 erano “i blocchi” e che ora rischia di diventare uno scontro all’insegna dell’uso tattico e localizzato del nucleare tra la Russia e la Nato. Castellina ha citato il papa per sottolineare un’ovvietà dell’antimilitarismo pacifista, che si struttura sulla logica militare: la guerra, anche se (ammesso che ne esistano) giusta, con gli armamenti attuali non si può fare.
L’invasione ucraina finirà male come tutte le guerre aggressive (Vietnam, Iraq, Afghanistan), danneggiando aggressore ed invaso: per evitare il disastro serve un compromesso con mezzi non violenti col nemico.
Non è un caso che le superpotenze asiatiche ed oceaniche ed i paesi non Europei stiano mantenendo una linea prudente nello schierarsi. La logica Nato-contro-Russia andava ridimensionata già alla caduta dell’Urss. Serve rendere più equa (citando il titolo della tre giorni) la distribuzione del prestigio internazionale che vede la Nato fare ciò che vuole e punire, militarmente e con sanzioni, gli stati che osano agire sulla sua medesima linea. Bisogna ricordarsi, re-includere la Russia e depotenziare la Nato in un sistema che rischia altrimenti una polarizzazione dei poteri globali sempre più estrema.
La guerra Ucraina non è la prima guerra post-1945, ma è più vicina e crea più emozione. Però è una guerra come tutte le altre nel suo avere una logica che divide buoni e cattivi e giustifica alcuni bombardamenti piuttosto che altri. L’unico modo per estirpare questa logica è agire alla radice, eliminando le armi, il mezzo unico e sempre più distruttivo delle guerre.
In conclusione, una parola su eQua, che deve ripensare il welfare alla luce della difficoltà di rivedere il sistema produttivo e dei consumi ma dall’altro è forte della consapevolezza sempre più diffusa, anche al di fuori delle avanguardie, che una rivoluzione del modo di produzione e dei consumi è necessaria.

Dopo la crisi bellica, quella sanitaria. Vittorio Agnoletto ha portato il secondo intervento nell’apertura congressuale dell’Arci. Parlare di equità in Italia, soprattutto in Lombardia, non può che significare discutere il sistema sanitario. Se la Lombardia fosse uno stato, sarebbe all’ottavo posto dei luoghi con più mortalità. Questo non è, e qui il medico ha smentito Gori, un caso, bensì una precisa conseguenza del neoliberismo.
In un sistema di disuguaglianze, la salute è uno degli aspetti più interessati e la pandemia lo dimostra, sia per quanto riguarda la distribuzione dei vaccini che causa ancora il rischio di recrudescenze della pandemia sia per ciò che riguarda la maladistribuzione dei farmaci. Finché la sanità è privatizzata e sotto la direzione del mercato, finché il neoliberismo porta l’Unione europea a sprecare vaccini perché le industrie impediscono di donare i vaccini se non in prossimità di scadenza, la sanità non può, è strutturalmente impossibile che sia equa. L’uguaglianza è possibile solo locale, solo per volontariato (le brigate mediche cubane, venezuelane, rumene, albanesi venute in Lombardia), ma queste azioni nascono da una visione che è altromondista e si oppone al liberismo. Non c’è via di mezzo.
La salute è un oggetto geopolitico tanto quanto le guerre, le medicine, le licenze sui farmaci sono a tutti gli effetti armi. Guerra nucleare o batteriologica? Secondo Agnoletto, è il dubbio che si profila all’orizzonte delle guerre globali future.
Il dubbio etico, morale e politico, però è un altro: profitto o persone, privato o pubblico, disuguaglianza o equità. Questo è il piano valoriale su cui bisogna schierarsi anche sul piano esistenziale, radicalmente, senza zone grigie.

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