L’Europa e noi/ Intervista di Luigi Lusenti a Luciana Castellina, presidente onorario dell’Arci

“Prima di tutto presidente onoraria dell’Arci”: così chiede di essere presentata Luciana Castellina. Ed in effetti ricordare tutto il resto del curriculum di Luciana sarebbe una impresa ardua: giovane dirigente comunista, fondatrice del manifesto, eurodeputata per ben 4 legislature, presidente di varie commissioni all’europarlamento, parlamentare italiana nel 1992, giornalista e scrittrice. Ma questo non esaurisce una vita densa di impegni, di militanza, di studio fino ad essere candidata alla Presidenza della Repubblica nel 2015 da Sinistra, Ecologia e Libertà.

Di questi giorni l’ultimo impegno che ha deciso di assumere: la candidatura alle elezioni europee del prossimo maggio nella lista di Syriza. Nella nostra conversazione partiamo proprio da qui. “La mia candidatura è una candidatura di testimonianza. Non per nulla ho accettato l’invito dei compagni di Syriza.  Se l’avessi fatta in Italia poteva sembrare che volessi davvero andare al parlamento europeo. Invece in Grecia, per me, è un atto simbolico ma fortemente politico. Dire che i greci non sono soli, che un pezzo d’Europa guarda a loro non solo con le scelte devastanti del Fondo Monetario Internazionale e della Commissione Europea ma con la solidarietà politica e sociale. Con la militanza per “un’altra Europa” che abbiamo l’obbligo di pensare e di costruire e io sono molto contenta e onorata di svolgere questa funzione. Penso che  Alex?s Tsipras non potesse fare altra politica  con i margini ristrettissimi che aveva a disposizione. Ha cercato di non uscire dalle linee concordate con Bruxelles ma anche facendo pagare il meno possibile i costi alle classe più povere della società greca. Non era immaginabile una uscita dall’UE e neppure dalla zona euro. Questo non significava cancellare il debito, invece di certo sarebbero mancati i soldi perfino per il carburante per i traghetti. Ha avuto il coraggio dell’impopolarità ma oggi, le sue scelte, cominciano a far intravvedere un mutamento di rotta, una minima ripresa che va sostenuta fino in fondo. La Grecia poi per me non è un paese straniero. Da sessant’anni come giornalista e come militante ho fatto tutte le battaglie e tutte le campagne di quel paese.

D: Tu hai fatto 4 mandati al Parlamento Europeo. Un periodo sufficientemente lungo per poter parlare con molta cognizione di una delle “tre” istituzioni che governano l’Unione Europea”.

R: “Io sono una reduce del primo parlamento eletto con suffragio universale: quello del 1979. Posso sicuramente raccontare molte cose e parlare sulle trasformazioni che ha subito negli anni.

Bisogna sfatare l’idea che non c’è niente da fare a livello del Parlamento europeo.  Se ti impegni, costruisci delle battaglie, dentro e fuori le aule del parlamento, risultati ne puoi portare a casa. Io mi sono occupata di cultura. Sono stata presidente della commissione e anche presidente della commissione rapporti economici esterni che si occupava dell’organizzazione mondiale del commercio. In quegli anni riguardava soprattutto il mercato dell’audiovisivo.

Se lavori bene costruisci alleanze con altre organizzazioni, con le parti sociali. Noi dobbiamo sfatare l’idea, non solo di Salvini e di Di Maio, che I governi nazionali opererebbero meglio che una struttura sovranazionale. Il problema vero è come governo nazionale quale  potere contrattuale hai. Il discorso è lungo e molto articolato però per farmi capire faccio sempre un esempio: l’accordo fra la Bayer e la Monsanto, con la creazione di un grandissimo monopolio sulle sementi, condiziona le nostre vite più di qualsiasi decisione governativa o intergovernativa. Cosa significa? Che chi conta e decide sono sempre più le multinazionali con i loro accordi finanziari.

Come potrebbero paesi in solitaria anche solo cercare di condizionare queste scelte?

Io credo che la globalizzazione vada disarticolata in grandi macro aree regionali o continentali e lì si cercare un governo comune che possa almeno interloquire con le grandi multinazionali e con i centri di potere extra politico.

L’Europa, a mio avviso, è quella più preparata a svolgere questa funzione. Non solo perché ha fatto dei passi avanti sul terreno dell’integrazione ma anche perché, nonostante i suoi limiti ed errori, rappresenta la miglior  politica sui diritti sociali e umani.

D: Il 2003 è uno spartiacque nella storia dell’Unione. L’allargamento ad est è il più grande mai effettuato. Questo allargamento anche ora è sotto critica nonostante Prodi abbia detto: “a volte non puoi perdere l’incontro con la storia”.

R: Io credo, invece, che fu uno dei più gravi errori dell’Unione Europea. Da una parte la smania di allargare il numero dei posti a tavola, alimentando anche le peggiori aspirazione, dall’altro l’idea  di poter entrare nel salotto buono staccandosi dai paesi marginali. Bisognava aprire rapporti di cooperazione con questi paesi in modo da costruire percorsi comuni. I nuovi arrivati dall’Est Europa hanno invece dovuto subire scelte politiche decise da altri finendo in una posizione completamente subordinata, posizione che suscita in loro continue rivendicazioni invece di un terreno decisionale comune e condiviso.  La politica dell’Unione Europea verso l’est è stata la peggiore. Era necessario anche trovare il modo di includere la Russia, una volta caduto il muro, in una cooperazione di  collaborazione con l’Europa. invece  gli abbiamo messo i missili Nato sotto il naso creando reazioni del tutto ingiustificate e aprendo così la strada allo sciovinismo di Putin. Oggi ne vediamo le conseguenze. Noi come Europa siamo stati travolti dalla globalizzazione perchè invece di operare scelte in grado di plasmarla ci siamo semplicemente allineati. Non sappiamo trovare una identità europea che non sia quella del mercato comune. Grande idea negli anni cinquanta ma oggi, con il commercio diventato planetario, che senso può avere? Non siamo riusciti a definire una comunità mentre l’unione è rimasta tutta mercato. Avremmo dovuto capire  che la nostra forza stava nella qualità di alcuni valori ad esempio nel modello di welfare sociale caratteristico dell’Europa. Penso che fra i primi provvedimenti da prendere ci siano quelli che riguardano il lavoro, la tutela e la dignità del lavoro. Ma questo prevede muoverci assieme con gli altri paesi dell’unione.

D: L’Europa a due velocità è sempre stata una teoria che ha affascinato molto. E in parte si è anche realizzata con l’area euro e l’area Schengen. Ora però sembra che chi soffre di più la crisi siano proprio i paesi che avrebbero dovuto essere il motore di questa Europa a due velocità: Francia, Germania, Italia.

R: Il nucleo storico dell’Europa si sta sfaldando. Basta vedere i dati economici della Germania per capire che anche Berlino soffre. Lo tsunami sta stravolgendo i paesi fondatori. In Francia i gilet gialli hanno messo in crisi tutta la costruzione di Macron. Macron mi ricorda molto Renzi. Ad un certo punto i due hanno perseguito l’idea che si potesse fare a meno dei partiti politici di massa, radicati sul territorio, convinti che la velocità nelle decisioni fosse la soluzione alla perdita di potere e di autorevolezza.

La democrazia è lenta, ma rimane l’unico strumento che ci permette di attivare il rapporto con i cittadini, non farli sentire estranei alle decisioni. L’idea di bypassarla non è nuovo. Già la Trilateral, per semplificare, affermava che la politica economica è complicata e deve essere trattata dagli esperti.

La famosa governance, termine che si usa molte volte a sproposito. Governance infatti è un termine che appartiene ai consigli di amministrazione delle banche e delle imprese. Governare invece è un’altra cosa. Prevede il dialogo, il consenso, la mediazione. Peraltro dal 2008 da quando è cominciata la crisi l’Unione stessa si è trovata con una rigidità dei trattati e si è chiesto ai tecnici, appunto alla burocrazia, di dare risposte. Ma i tecnici non hanno  i margini e neppure la flessibilità che è propria solo della politica. La stessa sinistra che ha scelto la strada della “governance” è andata a sbattere.

D: Segnali di controtendenza?

R: Io qualcosa vedo a partire dal dato elettorale slovacco. E qui voglio dire subito che ancora una volta sono le donne a rappresentare un minimo di speranza: una sedicenne ha messo sottosopra il mondo con le sue richieste ambientali. In Ungheria e Polonia si sono mosse le donne per difendere i diritti che stavano per essere cancellati. Perfino in Romania l’illusione aveva il nome di una donna: Laura Codruta Kovesi magistrata anticorruzione massacrata proprio dalla coalizione di centrosinistra.

D: Chiediamo da dove siamo partiti: la Grecia. Tu hai detto che vedi segnali di ripresa.

R: La Grecia cinque anni dopo è certamente un paese molto stremato. La cura è stata durissima però è un paese dove è ripresa un po’ di occupazione e questo vuol dire sviluppo. Certo le misure sono state durissime E sono ben lungi dall’essere fuori dalla crisi. Però tre anni fa era peggio. Si è cercato, con qualche risultato, di rendere la cura meno invasiva possibile.  Se l’Italia governata dal Pd, se la Spagna governa dai socialisti fossero stati in grado di fare un fronte comune per rivendicare una modifica del nei trattati per quei paesi che hanno economie diverse da quelle nordiche, paesi che hanno  ancora problemi di sviluppo per raggiungere le nazioni guida dell’Europa, la politica di austerità sarebbe stata diversa.   Purtroppo l’alleanza non c’è stata e la Grecia è rimasta sola.

[Luigi Lusenti]

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