Sabir/ Un tuffo nel Mediterraneo
Dal 28 al 30 ottobre: a Lecce tre giorni di convegni, mostre, musica e cultura. Sono ormai passati sette anni da quando nel 2014 grazie all’impegno dell’Arci e tante altre organizzazinoni, sulle sponde di Lampedusa, è nato Sabir, un festival incentrato sulla ricchezza delle culture che circondano il Mediterraneo.
A queste giornate di scambi, incontri internazionali e formazioni si sono alternate attività culturali che attraverso musica, concerti e immagini ci hanno fatto percorrere tutti i paesi e i popoli che circondano il Mediterraneo, mare da sempre solcato da migliaia di persone che purtroppo negli ultimi decenni sta diventando testimone di una scelta politica che porta a morte e sofferenza. Tutto ciò a noi genera molta tristezza e rabbia ed è per questo che esperienze come Sabir sono fondamentali: inizialmente per portare alla luce questi fatti drammatici e sensibilizzare i cuori e le menti delle persone, ma soprattutto, per agire e cercare di trovare una soluzione collettiva non caritatevole ma che punti a risolvere alla radice i problemi.
Abbiamo visto fotografie toccanti, immagini del Mediterraneo che negli ultimi decenni sta giocando un ruolo tragico, testimone della drammaticità delle migrazioni, luogo che è diventato – come lo definisce Papa Francesco – il “cimitero d’Europa”.
A ricordare queste tragedie vi era Corpi Migranti, una mostra che racconta il lavoro di identificazione dei corpi dispersi in mare nata dalle parole di un giovane camerunese: «Nel deserto vidi una tomba, era di una ragazza di Douala, e mi chiesi se suo papà e sua mamma, i suoi fratelli e le sorelle sapessero che la loro bimba è là». Abbiamo pensato alle donne, uomini e bambini che hanno perso la vita, ai loro corpi che hanno perso un nome, ai numeri che hanno preso il posto di nomi, scritte come ‘sconosciuto nr. 25’ o addirittura ‘africana’ a suggellare le solitarie lapidi di un cimitero siciliano. Tutto questo è la rappresentazione di una grave mancanza di identificazione; da un lato del Mediterraneo abbiamo delle persone che lavorano per restituire un nome a un corpo, dall’altro ci sono le famiglie dei dispersi che senza quel corpo non riescono a metabolizzare il lutto costretti quindi ad affrontare una perdita impossibile, a cui non riescono a credere.
Se l’immigrazione è sempre di più un oggetto politico che divide in pareri contrapposti, il linguaggio di queste immagini ci porta alla responsabilità di essere umani e dunque vogliamo ricordare che migrare è un diritto, è una necessità e una scelta di vita che a prescindere dalle motivazioni è degna e legittima: noi crediamo in una società in grado di accogliere e integrare le persone. Vogliamo stimolare coscienza perché c’è bisogno di una risposta collettiva per l’affermazione dei diritti di tutte e tutti, per farlo è necessario che il nostro paese riprendi a coltivare una cultura politica ormai dimenticata da anni. Dobbiamo convincerci che solo prendendo una reale consapevolezza delle ingiustizie che vediamo compiersi ogni giorno intorno a noi, possiamo sperare e agire per un domani migliore. [Mara Cacciatori, Somia El Hariry , Musa Drammeh, Nicolas Aiazzi, ecoinformazioni]