7 ottobre/ L’Arci nazionale c’è/ Celeste Grossi
Basterà una crisi politica, economica, religiosa, perché i diritti delle donne siano messi in discussione. Simone De Beauvoir ci ha ammonitɜ: «Basterà una crisi politica, economica, religiosa, perché i diritti delle donne siano messi in discussione». E noi oggi siamo in presenza di molte crisi: la guerra, anche nel nostro continente, il pericolo nucleare, mai così vicino, il collasso climatico e ambientale, la crescita delle diseguaglianze, il consenso popolare alle destre estreme, il ritorno dei nazionalismi e dei fondamentalismi, lo svuotamento della democrazia.
Il governo italiano agisce politiche di sfruttamento e oppressione dell’ambiente e degli esseri umani che aggravano la crisi climatica, ipotecano il futuro, determinano insicurezza. Politiche che alimentano paure ed egoismi. Amplificano le disuguaglianze. Fanno crescere le povertà delle persone più vulnerabili e, dunque in prevalenza, delle donne, che in nome del mercato e delle sue regole vengono abbandonate al loro destino. E la povertà non è solo quella economica. Accanto agli indicatori monetari, ci sono altri indicatori causa di esclusione sociale. Vivere con un reddito insufficiente significa rinunciare a beni materiali, tagliare le spese per la salute, per l’istruzione, ma anche restringere le relazioni sociali e ridurre le attività di svago. Insomma le disuguaglianze, anche tra i poveri, non sono equamente distribuite.
Lo sappiamo bene noi che nell’Arci ci occupiamo di Politiche di genere e lottiamo quotidianamente per i diritti di tuttɜ. In particolare per i diritti delle donne e delle persone Lgbtq+ che più spesso abbiamo visto attaccati, soprattutto in questo anno di governo di Giorgia Meloni, la prima donna in Italia presidente del Consiglio che ha scelto di essere chiamata il presidente, perché impregnata di cultura patriarcale che nega il valore delle differenze.
Siamo convintɜ che la prospettiva intersezionale sia la sola strada possibile per il cambiamento e che non ci sia priorità fra le lotte che devono, intrecciandosi, rafforzarsi.
Siamo convintɜ che queste lotte vadano condotte collettivamente perché “il potere è nell’unione”.
Siamo convintɜ che la trasformazione dell’esistente veda la cura, secondo l’approccio femminista e transfemminista, come antidoto alla società del profitto, all’impoverimento delle relazioni, alla distruzione del pianeta e anche alla crescita delle disuguaglianze.
La cura ci indica il modello sociale verso cui vorremmo indirizzarci: pane, pace e pianeta.
E poi c’è la guerra qui, prepotentemente, con il rischio sempre più concreto che la “guerra a pezzi” si trasformi in guerra globale e nucleare.
Teresa Mattei, la più giovane tra le donne elette all’Assemblea Costituente, nel 2006 raccontò un episodio a proposito dell’Articolo 11 della Costituzione: «L’Italia ripudia la guerra, è stato scelto il termine più deciso e forte. Al momento della votazione tutte le donne che eravamo lì, ventuno, siamo scese nell’emiciclo e ci siamo strette le mani tutte insieme, eravamo una catena, e gli uomini hanno applaudito. […] Per questo, quando ora vedo tutti questi mezzucci per giustificare i nostri interventi italiani nelle varie guerre che aborriamo, io mi sento sconvolta, perché penso a quel momento, penso a quelle parole e penso che se non sono le donne che difendono la pace prima di tutto non ci sarà un avvenire per il nostro paese e per tutti i paesi del mondo».
Anche per queste ragioni noi dell’Arci vogliamo percorrerla La via maestra, insieme alla Cgil e a centinaia di altre associazioni. [Celeste Grossi, delegata nazionale Arci Politiche di genere]