L’Arci c’è/ Libertà di critica a Israele dell’Università di Pavia

L’università ha vietato un evento sulla Palestina organizzato da Arci, Udu e Rete Antifascista. Lanciamo la raccolta firme sull’appello seguente. l’inziativa si svolgerà ugualmente in piazza davanti all’aula vietata. Appello per la libertà di critica a Israele nell’Università di Pavia. *Siamo preoccupati* La guerra nella Striscia di Gaza, con decine di migliaia di vittime civili, ha suscitato costernazione, discussioni e proteste anche a Pavia. La nostra università, che peraltro accoglie numerosi studenti di origine mediorientale, non poteva certo non restare in qualche modo coinvolta. I fatti in Israele-Palestina ci colpiscono e ci fanno interrogare, indignare e, in alcuni casi, mobilitare politicamente. Sarebbe inquietante se così non fosse.

Ci preoccupa il livello di repressione che si sta esercitando in molti Paesi occidentali ai danni di chi critica, anche solo a parole, le politiche del governo israeliano e le operazioni militari dell’esercito israeliano e l’appoggio di molti governi occidentali, tra cui quello italiano. E ancora più preoccupante è vedere le autorità accademiche in molti di questi Paesi essere protagoniste di questa repressione.

Vogliamo che l’Università di Pavia sia parte di questa tendenza inaccettabile?

*Non va proibito il dibattito*

Il 7 maggio l’Ateneo ha negato l’utilizzo dell’Aula del ‘400 per un’iniziativa pubblica sulla Palestina prevista per il 16 maggio, proposta da un’associazione studentesca in collaborazione con altre associazioni cittadine note per le loro posizioni pacifiste (UdU, Arci, e la Rete Antifascista, di cui fanno parte). Il diniego è avvenuto in seguito a ripetute richieste di chiarimenti, che sono stati ampiamente forniti. L’iniziativa in questione (“Palestina. Storia di un popolo e della sua resistenza”) prevedeva l’intervento di Khader Tamimi, presidente della Comunità Palestinese della Lombardia.

Per il diniego sono state addotte due motivazioni: 1) l’assenza di pluralismo; 2) la mancanza di scientificità dei relatori. Entrambe le motivazioni sono palesemente censorie e illegittime. Il pluralismo è garantito dalla possibilità di intervento del pubblico, che è per definizione sottratto ad una preventiva valutazione di schieramento da parte degli organizzatori.

Anzitutto le aule, ovviamente sotto il governo degli organi dell’Ateneo, appartengono tuttavia all’intera comunità accademica che, com’è noto, ai sensi dell’art. 1 dello statuto dell’Ateneo, è composta anche dagli studenti. A maggior ragione un soggetto come il Coordinamento per il Diritto allo Studio, che ha, per statuto e per elezione, la più ampia e consolidata rappresentanza della componente studentesca dell’ateneo, non può subire ostacoli censori nell’espletamento della propria attività istituzionale. Attività che è intrinsecamente “di parte” come è giusto che sia, trattandosi di associazione che partecipa alle elezioni e sollecita il voto degli studenti su programmi, idee, tendenze politiche etc.

Quanto sopra è il sale della democrazia e costituisce persino ovvia applicazione del diritto di associazione, manifestazione del pensiero etc. sanciti dalla Costituzione. Il dibattito è composto proprio dalla possibilità di far valere le proprie idee anche e soprattutto nelle aule dell’ateneo. Ove l’Università potesse sindacare (ovviamente fermi restando i limiti di cui sopra) il contenuto delle iniziative degli studenti, la medesima finirebbe per ingerirsi in affari che non le competono, essendo ben evidente che l’iniziativa non è della Governance dell’Ateneo ma di una precisa e ben identificata associazione di studenti che se ne assume la paternità e la relativa responsabilità.

Men che meno l’Ateneo può pretendere di attribuire una patente di “scientificità” alle iniziative, come se si trattasse di manifestazioni didattiche o analoghe, visto che quanto organizzato dagli studenti non fa di certo parte dell’offerta formativa dell’Università, ma costituisce un modo di esprimere i diritti costituzionali di una (la più grande) delle sue componenti.

Né può ritenersi che la mancata autorizzazione (peraltro a pochi giorni dall’evento) rientri, come viene affermato nel provvedimento, tra quanto imposto dal regolamento stesso (che ove mai interpretato in tal senso sarebbe palesemente illegittimo per i motivi ampiamente esposti sopra). Infatti, quanto richiamato stabilisce che “È esclusa la concessione per manifestazioni religiose, di partiti e movimenti politici”. Quindi non è vietata né una conferenza politica (tutto è politico, comprese le lezioni istituzionali) né una qualsiasi iniziativa di un movimento politico. Quello che il regolamento vieta negli spazi dell’ateneo è una manifestazione, il che è palesemente da escludersi nella specie, essendo evidente che una conferenza non sia una manifestazione (né religiosa né politica) ma occasione di dibattito e approfondimento.

Siamo certi che la testimonianza diretta di chi ha vissuto sulla pelle propria o dei propri familiari il dramma dell’occupazione palestinese (condannato decine di volte dall’ONU) abbia un altissimo valore e non possa subire censure odiose quanto illegittime.

*Protestare è legittimo*

Un’ondata di proteste studentesche è iniziata ad aprile nei campus degli Stati Uniti. Queste proteste in molti casi hanno preso la forma di accampamenti, richiamandosi a una tradizione democratica che risale perlomeno alle proteste contro la guerra in Vietnam: oggi è difficile non riconoscere che chi partecipava a quelle proteste era collocato dal lato giusto della storia, ma quelle proteste subirono repressioni durissime.

Tale ondata si sta espandendo e inizia a lambire anche gli atenei italiani. Gli studenti che protestano sollevano questioni non solo legittime, ma anche molto ragionevoli, rispetto ai legami dei sistemi universitari occidentali con il complesso militare-industriale israeliano. È assurdo equiparare le azioni studentesche all’apologia di terrorismo oppure accusare i manifestanti di antisemitismo: negli USA queste proteste sono guidate anche da organizzazioni studentesche ebraiche!

Se movimenti simili dovessero svilupparsi anche a Pavia, sarà importante che l’ateneo si ponga in un atteggiamento di ascolto e rispetto. Prima di ogni altra considerazione, è la stessa dimensione della tragedia in corso nel Medio Oriente che ce lo impone.

Se anche l’Università ci vieta i suoi spazi, il dibattito non si fermerà.👇🏻 [Arci Pavia]

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