Scp/ Indagare sulle responsabilità israeliane

Si è svolto su Zoom e in diretta Facebook nel tardo pomeriggio di mercoledì 10 febbraio il secondo incontro del ciclo di incontri sulla situazione israela palestinese organizzato da Società civile per la Palestina. La seconda conferenza, Accountability: le potenzialità dell’azione legale, era dedicata all’intricata questione delle azioni giudiziarie contro le violazioni del diritto internazionale perpetrate ai danni dei palestinesi. Ospiti della serata, Chantal Meloni, docente di Diritto penale internazionale, Università degli studi di Milano e rappresentante legale delle vittime nella “situazione Palestina” di fronte alla Corte penale internazionale, e Emily Schaeffer Omer-Man, avvocata per i diritti umani ed esperta di diritto internazionale umanitario in Israele e Palestina.

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Nell’introduzione di Basem Kharma, dei Giovani palestinesi d’Italia, è emersa l’importanza della conferenza in ottica analitica della questione israelo-palestinese che, come sottolineato anche nella prima conferenza della serie (leggi qui), vede la violenza israeliana completamente ignorata sul piano internazionale. Sono segni evidenti di questo sistema di impunità il fatto che non si sia preso alcun provvedimento contro la mancanza di servizi in Palestina e la quotidiana migrazione di palestinesi lontano dal paese in cui sono discriminati.
Il 5 febbraio si è verificato però un fatto importantissimo: la Corte penale internazionale ha reiterato la statualità palestinese e stabilito la propria giurisdizione rispetto i crimini commessi da Israele, dal 1967 in avanti, nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, Gerusalemme est inclusa.

Dopo questa spiegazione iniziale la parola è passata a Grazia Careccia, la moderatrice dell’incontro, che ha presentato brevemente le biografie accademiche delle relatrici e ha aperto la conferenza riprendendo con Chantal Meloni la decisione della Corte penale internazionale.
Meloni ha spiegato come la Corte può agire solo riguardo i crimini commessi nei paesi che hanno ratificato il trattato di Roma, a meno di casi eccezionali.
Nel 2009, la Palestina ha chiesto un’investigazione per crimini contro l’umanità a carico di Israele, ma ci sono voluti tre anni perché si comprendesse come l’incertezza sullo stato giuridico della Palestina impedisse di accogliere la richiesta.
La Palestina è stata, nel 2015, formalmente riconosciuta come stato (senza però esserlo di fatto), quindi il paese poteva ribadire la propria richiesta, cosa che è successa. La decisione presa pochi giorni fa dalla Corte conclude una lunghissima fase di pre-indagini che hanno confermato la giurisdizione della Corte sulla Palestina in quanto essa può (per quanto solo giuridicamente) essere vista come stato occupato dal 1967. Dopo questo riassunto della situazione, Meloni ha prospettato come in futuro ci sia da aspettarsi una presa d’atto riguardo i crimini di guerra commessi in territorio palestinese dalle truppe israeliane, ma anche da Hamas.
La parola è passata poi a Emily Schaeffer Omer-Man, che ha fatto notare come l’indagine sia necessaria e come si possa dipanare in diversi modi a seconda delle scelte del procuratore. Ma su questo punto, ancora Meloni è stata interpellata per spiegare la difficoltà di svolgere lavori giuridici in un territorio precario e sotto occupazione come quello di Gaza e palestinese in generale.
Ad oggi la Striscia di Gaza è aperta e il territorio accessibile; anche se non lo fosse, però, la Corte dispone di dispositivi appositi, le cosiddette “missioni investigative”.

Schaeffer Omer-Man ha spiegato come la notizia della decisione della Corte abbia generato un enorme fermento mediatico soprattutto in Israele, che si è appellato all’amministrazione Biden per essere tutelato da quelle che sono state definite “interferenze internazionali”. D’altra parte, ci si chiede se non si rischi di incorrere in successivi procedimenti penali derivanti da questo provvedimento.
La mancanza di legislazione sui crimini contro l’umanità in Israele porta questo stato a non riconoscere le decisioni prese sul piano internazionale su cosa sia concesso e cosa no in termini di movimenti di occupazione e violenze. Sostanzialmente, è difficile individuare chi punire, come e per cosa, dato che sussiste un gravissimo vuoto legislativo.
Mai come in questo momento, però, è possibile cambiare questo lacunoso quadro giuridico; a questo spingono organizzazioni palestinesi, ma anche israeliane, impegnate sul territorio per il riconoscimento dei diritti umani.

Grazia Careccia ha invitato, a questo punto, a riflettere sulle reali possibilità di cambiare la situazione. Domanda difficile, questa, a cui si può rispondere solo in termini strategici; tutte le parti in casa devono comprendere la situazione e impegnarsi per recuperare il materiale, attualmente inaccessibile, che chiarisca le dinamiche e le entità delle violenze e dei crimini commessi.
Schaeffer Omer-Man ha sottolineato la necessità primaria di lavorare con decisione e collettivamente per conoscere ed agire in modo mirato e non dannoso. La delicatezza della situazione non permette altro che lavorare coerentemente, le varie corti ed i vari stati.
Lo stesso Israele deve essere messo alla prova nelle proprie capacità di indagine, cosa nella quale come si è detto la Corte potrebbe risultare limitata.

La rappresentante legale delle vittime della situazione palestinese è quindi intervenuta sottolineando come la Corte penale internazionale possa lavorare retroattivamente solo dal riconoscimento della Palestina come territorio sotto la sua giurisdizione.
Di fronte a questo ennesimo limite, non si può che notare come il cambiamento di prospettiva rispetto ai crimini israeliani stia cominciando a venire dal paese stesso. C’è un cambiamento di narrazione che, da Israele, sta dando credito alla versione palestinese per cui il popolo arabo stia subendo un’apartheid. L’apartheid è un crimine.
Ci sono evidenti ostacoli nell’accesso al sistema legale israeliano, che sembra strutturato per garantire l’impunità ai perpetratori dei crimini.
La Corte dovrà valutare la correttezza procedurale delle indagini israeliane anche alla luce dei trattati.
La speranza è che le investigazioni creino casi e da lì si apra una possibilità di analisi su aspetti come la segregazione e la discriminazione ai danni dei palestinesi.
Sulla proporzionalità tra colpe e pene, Schaeffer Omer-Man ha però invitato al realismo sulla minima percentuale di pene che verranno comminate. Non è solo una questione strutturale, bensì anche di assenza di volontà.
Certo la giustizia israeliana non può funzionare con i sistemi di altri paesi, e questo sarà un ostacolo, ma l’aspetto veramente vergognoso sarà l’altrettanto evidente mancanza di impegno nel far emergere la verità.
Indagare, comunque, significa riconoscere o intuire che sono stati commessi dei crimini.

La moderatrice ha quindi chiesto cosa aspettarsi in termini di provvedimenti contro le autorità israeliane.
Meloni ha sottolineato come, stando allo statuto di Roma, la catena di comando responsabile di questi crimini dovrebbe essere punita sia per il proprio ruolo attivo che nell’assenza di azioni preventive contro di essi.
Le decisioni prese dalla Corte sui crimini britannici in Iraq fanno però temere il peggio, dato che i vertici del Regno Unito non sono stati toccati nonostante le proprie comprovate colpe.
Lo stato israeliano ha quindi almeno un modello a cui ispirarsi per sfuggire alla giustizia, e questa è una prospettiva abbastanza inquietante.

Prima di lasciare spazio alle domande degli spettatori su Facebook e Zoom, le due relatrici sono state invitate a ragionare sul ruolo di altre istituzioni in questa questione e in simili casi.
Schaeffer Omer-Man ha fatto notare come in generale ci sia una tendenza globale a lavorare contro questo tipo di crimini, contro le violenze corporative e i loro mandanti e tutori.
Ci sono dunque iniziative per la lotta contro i crimini contro l’umanità in Siria, in Sudan e in molti altri territori.
Ciò dimostra come lo strumento per combattere questi reati siano le cooperazioni tra enti e giurisdizioni diverse e di diversi paesi. Inoltre, c’è la speranza di poter mirare più specificamente ai mandanti di questi crimini per cercare di contrastarli alla radice.
Chantal Meloni ha mostrato la difficoltà di coordinarsi portando il caso italiano che si distingue negativamente per la mancanza, nel proprio corpus giudiziario, di strumenti che puniscano i crimini contro l’umanità.
In generale, è estremamente difficile agire legalmente in un contesto politico che, anche a livello internazionale, resta estremamente impervio per chi cerca di far rispettare i diritti dell’umanità.

Prendendo spunto dalle domande provenienti dal pubblico, le relatrici hanno condannato l’ambiguità di molti paesi rispetto alla situazione giuridica connessa alla questione israelo-palestinese. Il lavoro della Corte non è sostitutivo della diplomazia internazionale, è perfettamente rientrante nelle funzioni di quest’organo e non c’è ragione per osteggiarne le decisioni. Il riconoscimento della Palestina come paese non è politico né diplomatico, è giuridico, dunque nessuna nazione può sottrarsi a questa decisione.
La decisione della Corte ha però di fronte il rischio del veto statunitense, che la pone in una scomoda situazione di gestione delle investigazioni, che devono essere avviate.
È però fondamentale coinvolgere gli altri paesi affinché sostengano queste indagini e dimostrino di comprenderne la necessità.
In questo momento il primo passo, ha sottolineato Meloni, è agire per gradi tenendo presente che il ruolo della Corte è indagare su quegli individui che si sono resi responsabili dei crimini commessi in Palestina.
Sono molti gli ostacoli che si presenteranno a queste investigazioni; uno su tutti, l’opposizione all’uso del termine apartheid per designare le azioni degli israeliani contro il popolo palestinese.
Meloni ha messo l’accento sull’importanza della società civile e del suo ruolo di pressione sugli stati che appoggiano e coprono Israele.
Schaeffer Omer-Man ha invece concluso sottolineando come, in generale, sarà importante arginare e smentire le “azioni cosmetiche” che i vertici sionisti metteranno in atto per nascondere e ridimensionare la gravità delle proprie azioni.

I prossimi incontri organizzati da Società civile per la Palestina si svolgeranno il 3 ed il 15 marzo. [Pietro Caresana, ecoinformazioni]

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