Giornata internazionale delle donne/ Pensieri di pace in giorni di guerra

Fino a quando i diritti non saranno per tutte, in tutto il mondo, fino a quando il corpo delle donne continuerà a essere usato come luogo di potere maschile e campo di battaglia, ovunque noi donne cerchiamo di manifestare il desiderio di libertà-liberazione: nelle case, nelle piazze, nelle strade, nelle guerre, avremo purtroppo ancora bisogno di date simboliche come l’8 marzo.

L’8 marzo è la giornata in cui con maggiore visibilità noi donne occupiamo lo spazio della politica, radicate nelle piazze e con le teste vicine al cielo. La giornata in cui ovunque ci troviamo siamo tutte sotto lo stesso cielo e sopra la stessa terra per portare avanti la rivoluzione della cura. Prendersi cura del mondo in cui viviamo e di chi questo mondo lo abita, lottare contro la politica cieca dei confini, contro ogni forma di discriminazione e disuguaglianza è l’unica condizione per costruire un futuro di pace. Abbiamo ancora molta strada da fare per una politica disarmata e disarmante nella sostanza e nella forma, linguaggio compreso, ma siamo determinate a percorrerla.

In questi giorni in cui «la guerra è entrata nel quotidiano», sembra impossibile «eppure bisogna continuare a pensare alla pace, e da donne» (Virginia Woolf)

Noi, le donne consapevoli che tutte le questioni ci riguardano, dobbiamo continuare a «lottare mentalmente che significa pensare contro la corrente, e non a favore di essa», dobbiamo continuare a reinventare il nostro domani, continuare a ridisegnare la politica, la storia, la pace. Perché noi vogliamo vivere. Vogliamo pane, cielo pulito, pace vera.

Siamo vicine alle nostre sorelle che in Ucraina, nel Dombass, in Russia, in Europa, negli Stati Uniti e in ogni parte del mondo lottano per la pace. Siamo al fianco di chi manifesta in Russia contro l’invasione e il regime e di chi in Ucraina continua a opporsi alla guerra con forme di difesa civile non armata e nonviolenta. Con loro vogliamo costruire un nuovo mondo che abbia a fondamento la neutralità attiva, l’accoglienza, la pace, la giustizia, i diritti e le libertà.

Insieme alle tantissime donne straordinarie che lottano senz’armi per la vita, per trasformare le relazioni tra generi e per la libertà-liberazione di tutte, di tutti, e insieme agli uomini che a noi donne si sono affiancati, scegliendo di rompere le gabbie in cui la cultura patriarcale ha rinchiuso anche loro, vogliamo abitare il mondo − con amore, giustizia e solidarietà, attraversando confini e conflitti. Lo vogliamo fare l’8 marzo e in tutti gli altri giorni dell’anno. È insieme a loro che vogliamo continuare ad agire per rimettere al mondo il mondo.

E come Christa Wolf continuiamo a dire che “Tra uccidere e morire c’è una terza via: vivere”. Lo ripetiamo anche adesso di fronte a chi vuole farci cadere nella trappola della paura per ammutolirci. Non resteremo in silenzio. Non ci faremo rappresentare da stereotipi e caricature.

Julia Ward Howe, la femminista e pacifista nordamericana, nel suo appassionato intervento, svolto a Boston la seconda domenica di maggio del 1870, durante una manifestazione di protesta delle donne contro la guerra, disse: «Noi donne di qui proviamo troppa tenerezza per le donne di un qualsiasi altro paese per permettere che i nostri figli siano addestrati a ferire i loro». Da allora l’antimilitarismo delle donne è ancora attivo. Così, nei giorni scorsi, il movimento femminista russo si è appellato a tutta la galassia femminista globale per protestare contro la guerra e contro l’invasione dell’Ucraina e donne statunitensi e russe di Women Transforming our Nuclear Legacy (Wtonl), un’iniziativa di dialogo e costruzione della pace, fondata nel 2021, insieme hanno scritto una lettera.

Le tragiche esperienze dell’Iraq, della Siria, dell’Afghanistan, dell’ex Jugoslavia, del Mali, dello Yemen e di tante altre regioni del pianeta, che da anni conoscono soltanto la guerra, sono lì a ricordarcelo. Non esistono guerre umanitarie, non esistono guerre giuste, non esistono guerre per portare la pace.

Le donne, che dei conflitti armati subiscono più degli uomini l’impatto, lo sanno e lo chiedono: un’altra sicurezza è possibile, diversa dalla sicurezza militarizzata. La reciproca sicurezza, di ogni paese, di ogni popolo. È per questo che è fondamentale

la partecipazione attiva delle donne ai tavoli delle trattative, nei processi di sicurezza, promozione e mantenimento della pace, come previsto dalla Risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

E allora oggi portiamo con i nostri corpi, le nostre idee e le nostre voci, la responsabilità di questo 8 marzo in tempi di guerra. Sono lontani i tempi di Né in difesa né in divisa: pacifismo, sicurezza, ambiente, non violenza, forze armate: una discussione fra donne di Lidia Menapace e Chiara Ingrao [Roma: Gruppo misto della sinistra indipendente della Regione Lazio, 1988]. Ma le voci delle donne si fanno sentire ancora potenti.

Le parole di Luciana Castellina, presidente onoraria di Arci, dal palco di piazza San Giovanni a Roma il 5 marzo scorso – «[…] il criminale folle attacco della Russia all’Ucraina può infatti avere conseguenze impensabili, soprattutto se i nostri governanti e i loro menestrelli continueranno a pensare che si debba indossare l’elmetto e intonare inni patriottici per decantare i noti “valori occidentali”, e, peggio, che aiuti la pace fornire armi ai ragazzi ucraini esponendoli a un inutile bagno di sangue quando sarebbe invece necessario ragionare su come si potrebbe essere efficaci nel contribuire ad un compromesso decente, non risolvendo e ricorrendo a iniziative irresponsabili» – hanno richiamato alla mia memoria quelle scritte nell’agosto 1940 da Virginia Woolf, nel saggio Pensieri di pace durante un’incursione aerea (il saggio è uscito in Italia nel 1963 in Per le strade di Londra, Il Saggiatore).

«[…] Ma come può lottare [una donna] per la libertà senza armi? Fabbricandole, oppure fabbricando vestiti e alimenti. Ma c’è un altro modo di lottare senza armi per la libertà. Possiamo lottare con la mente; fabbricare delle idee, le quali possano aiutare quel giovane inglese che combatte lassù in cielo a vincere il nemico. […] Lottare mentalmente significa pensare contro la corrente, e non a favore di essa. […] E quella corrente scorre veloce e violenta. Straripa in parole dagli altoparlanti e dai politici. […] Questa sera siamo tutti e due prigionieri: lui nella sua macchina con un’arma accanto, noi sdraiati nel buio con una maschera antigas accanto. Se fossimo liberi saremmo all’aperto, a ballare, o in un teatro, o seduti davanti alla finestra, conversando». [Celeste Grossi, cordinatrice gdl Diritti umani, Pace, disarmo, politiche internazionali Arci Lombardia]

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