Pavia/ No al riarmo!

All’incontro di Avs No al riarmo! Quanto costa la guerra che non vogliamo del 12 aprile nella Camera del Lavoro di Pavia sono intervenute intervenute anche Luciana Castellina e Celeste Grossi. Luciana Castellina ha raccontato le prime fasi dello Stato di Israele e come sia possibile considerare l’oppressione del popolo palestinese da allora una forma di colonialismo europeo. Celeste Grossi ha svolto l’intervento La guerra non ci dà pace.

La guerra non ci dà pace. Arrendersi al presente è il modo peggiore per costruire il futuro ci ricordava spesso Tom Benetollo storico presidente dell’Arci.

La guerra devasta vite, ambiente, democrazie, diritti e devasta anche l’economia, facendo crescere le disuguaglianze e allargando la forbice tra ricchi, sempre più ricchi, e poveri, sempre più poveri.

La guerra è qui, prepotentemente, e continua a fare la storia, con il rischio sempre più concreto che la “guerra a pezzi” diventi globale e nucleare.
Sono tempi difficili per la Pace, per la Terra, per i diritti delle persone, non solo delle donne, ma delle donne maggiormente.
Tempi in cui vengono agite politiche di oppressione degli esseri umani e di distruzione dell’ambiente, che aggravano la crisi climatica, determinano insicurezza, ipotecano il futuro. Politiche disumane.
Ma anche nei tempi più bui abbiamo diritto a sperare la luce. Diceva Hannah Arendt, in tempi ancora più bui di questi.

La guerra devasta vite

La guerra si autoalimenta, e, una volta scatenata non è in grado di cessare: è sinonimo di violenza, povertà, mancanza di cibo, di acqua, di generi di prima necessità, di perdita di casa e ricordi, di sfollamenti forzati, di vite spezzate, di insicurezza e di mancanza di futuro.

Dopo l’invasione russa e la reazione dell’Ucraina, armata dalla Nato, in Ucraina non restano che città rase al suolo, milioni di profughi sradicati, oltre mezzo milione di vittime tra militari, popolazione civile e giovani costretti a combattere, molti contro la propria volontà, legami familiari e parentali distrutti, macerie materiali e spirituali.

Non esistono dati ufficiali sul numero di militari uccisi o feriti, né in Ucraina, né in Russia. Il numero totale in Ucraina supera, però, certamente le 500 mila persone, di cui almeno 100 mila morti.
I civili ucraini uccisi sono più di 10mila, dei quali 575 minori di 18 anni. I feriti sono più di 20 mila.
Il numero totale di morti e feriti tra i militari russi viene stimato in almeno 315 mila. Le autorità russe non forniscono i numeri relativi ai civili uccisi a causa delle attività di sabotaggio e degli attacchi compiuti con i droni. Il giornale indipendente Moscow Times ha stimato che siano 79.
L’orrore per l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, nel quale sono state uccise 1.194 persone fra civili e militari, e sono state catturate e sequestrate circa 250, con bambine e donne di ogni età barbaramente ammazzate, stuprate e rapite per essere usate come merce di scambio, non può rendere accettabile lo sterminio a Gaza di un intero popolo.

Il numero delle persone morte a Gaza a seguito dell’attacco israeliano ha superato 35.000, oltre 76.000 i feriti, secondo il ministero della Sanità del territorio palestinese.
Almeno 12.300 bambine e bambini sono morti, più del totale dei morti negli ultimi 4 anni in tutte le guerre nel mondo. A Gaza oltre 1 milione di bambini, uomini e donne soffre la fame e la sete. Nel nord di Gaza si sopravvive con meno di 100 grammi di pane al giorno (245 calorie). A Gaza di fame e di sete si muore.
A Gaza erano oltre 50.000 le donne incinte l’8 ottobre. Donne costrette a partorire nei rifugi, in strada in mezzo alle macerie, o in strutture sanitarie devastate, prive di materiale sanitario e farmaci perché gli ospedali, in dispregio di ogni umanità e diritto internazionale, sono stati bombardati, assediati, occupati, chiusi o sono irraggiungibili. Il 15% delle donne incinte rischia complicazioni legate al parto e di avere bisogno di cure mediche che non sono assicurate, mentre muoiono i bambini prematuri in terapia intensiva senza energia per le incubatrici.

Salvare una città, un paese, un popolo dalla catastrofe non è segno di resa o di debolezza, ma di amore. Nessuna pace è “vergognosa”, nessuna condizione è inaccettabile per salvare una città, un paese, l’umanità. Lo abbiamo imparato leggendo Venezia salva di Simone Weil.

La guerra devasta ambiente

“La guerra ci sta costando la Terra” è il titolo di una campagna di Rete Italiana Pace e Disarmo di cui Arci è parte. Gli impatti ambientali – diretti e indiretti – derivanti dalle guerre in corso e dalla militarizzazione sottolineano ulteriormente l’urgente bisogno di pace.
Si vuole imporre la guerra come unica forma di politica. La guerra mette a rischio la vita anche nei “dopoguerra” con la distruzione ambientale e, qualora venissero usate armi nucleari come continuamente evocato la catastrofe sarebbe totale.

È urgente porre attenzione anche ai danni che la guerra provoca all’ambiente. Salvare la natura nella quale le persone potranno vivere è importante quanto l’accorata denuncia delle decine di migliaia di morti e di feriti nelle due guerre in corso, che coinvolgono il governo italiano, con la fornitura di armamenti all’Ucraina e a Israele, l’adesione alle campagne di sostegno agli obiettori di coscienza, la solidarietà con i milioni di persone, prevalentemente donne, bambini e anziani costretti ad abbandonare il loro paese, la richiesta di immediato “Cessate il fuoco!”.
Che senso ha parlare di ricostruzione quando l’habitat è già ora distrutto in profondità?

La strada per salvarci e salvare la vita sulla Terra, devastata da catastrofi climatiche, pandemie e guerre, ce l’hanno indicata tante donne e uomini che hanno lottato prima di noi. È quella dell’ecopacifismo.

Harriet Otterloo, della sezione svedese della Wilpf (Women’s International League for Peace and Freedom) ha dichiarato: «Pace significa pace con la terra. Il lavoro per la pace implica la conoscenza e il rispetto della terra. Se distruggiamo l’aria, l’acqua e il suolo a causa dell’ignoranza o dello sfruttamento spietato, non avremo più nulla di cui vivere in pace. Se distruggiamo la Terra non ci sarà pace. Per questo il movimento ecologista è parte del movimento pacifista».

La guerra devasta democrazie e diritti

La Costituzione italiana è figlia della liberazione dal nazifascismo. Le madri e i padri costituenti hanno indicato un cammino da seguire per arrivare – un giorno – ad un Paese più giusto, più bello, più felice. Un Paese costruito sulla pace.
Per qualche tempo, quella strada si è seguita, e si sono concretizzati parte di quei diritti che la Costituzione ci diceva di attuare.
Ma da anni assistiamo, senza riuscire a contrastarlo adeguatamente, a uno scivolamento del Paese sempre più a destra per inseguire paure, irresponsabilmente alimentate.
Assistiamo all’impazzimento di un popolo che torna ad accettare la guerra come uno strumento inevitabile, quando non utile o giusto, per dirimere le controversie tra i popoli; che torna a delirare di patrie da difendere, di muri da erigere e che negli anni ha trasformato il Mediterraneo in un cimitero marino.
Si torna a parlare di economia di guerra in Italia e in Europa, un continente che ha tragicamente vissuto ben due guerre mondiali e i campi di sterminio nazisti.

E così sul lavoro, sui diritti, sulla scuola, sulla cultura, sulle differenze di genere, sull’immigrazione il Paese torna indietro di decenni.

E torna indietro sul ripudio della guerra. Per parlare dello stravolgimento della Costituzione voglio usare le parole di Teresa Mattei, la più giovane tra le ventuno donne elette all’Assemblea Costituente, una donna libera, espulsa nel 1938 dalle scuole del Regno perché antifascista e nel 1955 dal Partito Comunista perché antistalinista. In un’intervista del 2006, raccontò: «Al momento della votazione per l’Articolo 11, L’Italia ripudia la guerra, è stato scelto il termine più deciso e forte – tutte le donne che erano lì, ventuno, siamo scese nell’emiciclo e ci siamo strette le mani tutte insieme, eravamo una catena, e gli uomini hanno applaudito. […] Per questo, quando ora vedo tutti questi mezzucci per giustificare i nostri interventi italiani nelle varie guerre che aborriamo, io mi sento sconvolta perché penso a quel momento, penso a quelle parole e penso che se non sono le donne che difendono la pace prima di tutto non ci sarà un avvenire per il nostro paese e per tutti i paesi del mondo».

La guerra devasta l’economia

Le spese per gli armamenti sono sottratte agli investimenti per il benessere sociale e ambientale.
Sono lontani i tempi in cui Sandro Pertini esortava a “Svuotare gli arsenali e riempire i granai”.

L’escalation di violenza israeliana a Gaza e in tutto il Medio Oriente e i combattimenti in Ucraina hanno dato infatti un ulteriore impulso alla produzione di armi.
Nei due anni passati, l’1% più ricco del pianeta si è appropriato di quasi 2/3 della ricchezza prodotta nel medesimo periodo.
Le sofferenze di una moltitudine di persone rappresentano un’opportunità di arricchimento per chi specula.

La spesa militare mondiale ha raggiunto nel 2022 la somma di 2.240 miliardi con un aumento di 127 miliardi sul 2021, il 3,7%, secondo le stime del SIPRI – Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma.
E’ certo un ulteriore aumento nel 2023 che sarà certificato il 22 aprile prossimo, Giornata della Terra, una delle Giornate globali di azione sulla spesa militare che si tengono dal 12 aprile al 15 maggio.

Le 15 maggiori aziende mondiali per la difesa hanno avuto ordini per 777 miliardi di dollari, oltre 76 in più rispetto a due anni precedenti. Due anni in cui sono stati investiti quasi mille miliardi di dollari in armamenti, il 2,2% del Pil mondiale.

18 Stati membri dell’Alleanza atlantica nel 2024 spenderanno per la difesa 380 miliardi di dollari, equivalenti al 2% del loro prodotto interno lordo. Lo ha affermato il segretario generale della Nato, Stoltenberg.
Questi livelli di spesa in Europa non si vedevano dai tempi della Guerra Fredda.
In Italia per il 2024 il bilancio del Ministero della Difesa supererà i 29 miliardi di euro (29.161 milioni per la precisione) con il 5,1% in più rispetto al 2023. In due anni, dal 2022, il Bilancio della Difesa è aumentato di circa il 12,5%, aumento dovuto quasi esclusivamente a nuovi fondi a disposizione per l’acquisizione di armamenti. Circa 1,4 miliardi in più vengono invece destinati al Programma di “Pianificazione generale delle Forze Armate e approvvigionamenti militari” (per oltre il 95% indirizzati ad “ammodernamento, il rinnovamento ed il sostegno delle capacità e i programmi di ricerca finalizzati all’adeguamento tecnologico dello Strumento Militare”, cioè nuove armi).
Per la prima volta nella storia, l’Italia destinerà circa 10 miliardi di euro agli investimenti in armamenti: agli oltre 8 miliardi di euro, previsti per Programma, vanno aggiunti 2 miliardi circa, destinati all’industria militare nel 2024.
E al Bilancio della Difesa vanno, inoltre, aggiunte le cifre inserite nei bilanci di altri dicasteri (fondo per le Missioni militari all’estero presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e i fondi che il nuovo Ministero delle Imprese e del Made in Italy destina per acquisizione e sviluppo di sistemi d’arma).
Secondo l’Osservatorio Mil€x sulla spesa militare, per il 2024 si arriverà a circa 28,1 miliardi di euro con un aumento di oltre 1.400 milioni rispetto al 2023 con una crescita percentuale del 5,5%.

Contemporaneamente sono stati ridotti gli investimenti in spese sociali. Dal 9 aprile, con l’approvazione del governo Meloni del Documento di economia e finanza, sappiamo che nel 2023 la spesa sanitaria è passata dal 6,7 per cento del Prodotto interno lordo, previsto, al 6,3 e nel periodo 2024 – 2027 si assesterà sul 6,3- 6,2 per cento del Pil.

Con il costo di un sottomarino si potrebbero acquistare 9.180 ambulanze.
Con il costo di un cacciabombardiere F35 si potrebbero acquistare 3.244 letti di terapia intensiva, oppure si potrebbero costruire 387 asili nido, creando circa 3.500 nuovi posti di lavoro; oppure si potrebbero acquistare 21 treni per pendolari con 12.600 posti a sedere; oppure si potrebbero finanziare 32.250 borse di studio per studenti universitari; oppure si potrebbero mettere in sicurezza 258 scuole (rispetto a norme antincendio e antisismiche), oppure si potrebbero creare posti per 14.428 ragazzi e ragazze in servizio civile per un anno; oppure si potrebbe coprire l’indennità di disoccupazione per 17.200 persone; oppure si potrebbero fornire servizi di assistenza a 14.742 famiglie con disabili e anziani non autosufficienti.

Come è potuto accadere di sprofondare in uno smarrimento che ci porta ad accettare che tra una donna e un uomo, così come tra un lavoratore straniero e uno che ha avuto solo la fortuna di nascere dall’altra parte del mare ci sia differenza di salario? E che sia accettabile e normale reprimere il dissenso con la violenza e i manganelli?

Come è potuto accadere che ci governi una destra violenta che fa della repressione il suo metodo di governo? Come si può accettare la preoccupante e martellante evocazione di una nazione comandata da un capo che parla direttamente al popolo?

L’8 e il 9 giugno evitiamo che le destre impresentabili ci oscurino il futuro qui a Pavia e anche in Europa. [Celeste Grossi, Arci]

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