La comunità internazionale di fronte alla necessità di una svolta decisiva delle sue politiche

attentato22marzoL’analisi di Franco Uda, coordinatore nazionale Arci Pace, solidarietà e cooperazione internazionale: «Quello che manca – ed è mancato – è la politica, la responsabilità di questa rispetto alle conseguenze che produce, la coerenza tra gli obbiettivi dichiarati e le azioni concrete. Sarebbe sin troppo facile – qui ed ora – richiamare un celebre verso di Fabrizio De Andrè sull’impossibilità di sentirci assolti, perché siamo tutti coinvolti».

Sono trascorse poco più di 48 ore dal brutale attacco terrorista in terra europea, nella città che, a tutti gli effetti, viene considerata la capitale dell’Europa. Un attacco che ha prodotto oltre 30 morti e circa 200 feriti, civili inermi intenti nelle azioni più ordinarie e routinarie della vita.

Incredulità, dolore, persino rabbia. La preoccupazione per i tanti amici e compagni che si trovavano a Bruxelles in quel momento o che lì lavorano. Il cordoglio, il dolore, la solidarietà per tutte quelle vite e famiglie straziate da un’azione criminale e terroristica. Molte le dichiarazioni e i gesti colmi di sincera emozione.

Oggi però, conservando la memoria dell’accaduto e senza alcun cedimento di pìetas, si impone un passo in avanti. In che direzione? Il dibattito nei livelli apicali degli Stati e nelle istituzioni dell’Ue si concentra sulle falle della sicurezza belga, sulla mancanza di coordinamento e scambio di informazioni tra le intelligence europee, sulla necessità di maggiori controlli degli ‘obbiettivi sensibili’, su un innalzamento di barriere a difesa dell’Europa. C’è persino qualcuno che invoca una immediata rappresaglia militare contro le centrali del terrore o di istituire il reato di «ritorno a casa per i foreign fighters»… (sic!). Ma davvero c’è qualcuno che pensa che il combinato disposto di tutte queste misure possa essere, anche parzialmente, risolutivo? Quanti sono gli ‘obbiettivi sensibili’ in Europa? Di quanti agenti, militari o videocamere avremmo bisogno per presidiarli tutti? Davvero un Vallo di Adriano in versione moderna impedirebbe l’infiltrazione terroristica nel Vecchio Continente? Su chi o cosa dovremmo sganciare le nostre ‘bombe intelligenti’?

Abbiamo tutti i mezzi tecnologici, economici, logistici per poter avere, già da oggi, un più che sufficiente controllo sulle persone, sui loro spostamenti, sulle loro vite. Il solo richiamo a un maggior controllo di polizia nelle nostre città, a un inasprimento delle procedure di accesso in Europa o a una crociata contro Daesh sarebbe esiziale.

Quello che manca – ed è mancato – è la politica, la responsabilità di questa rispetto alle conseguenze che produce, la coerenza tra gli obbiettivi dichiarati e le azioni concrete. Sarebbe sin troppo facile – qui ed ora – richiamare un celebre verso di Fabrizio De Andrè sull’impossibilità di sentirci assolti, perché siamo tutti coinvolti.

Le politiche degli Stati europei e degli Usa che hanno consentito lo spostamento di migliaia di foreign fighters dalle periferie delle principali capitali europee – le stesse in cui i modelli di integrazione sono miseramente falliti trasformandole in ghetti di poveracci – armandoli, addestrandoli, finanziandoli e utilizzandoli in funzione anti-Assad, il dittatore della Siria. Passando per la Turchia (alla quale continuiamo a dare miliardi di euro), si preparavano militarmente e ideologicamente con la supervisione dell’Arabia Saudita. Armarli ha significato portare la guerra a casa nostra, eppure abbiamo lasciato che accadesse.

Il prodotto di tutto ciò è una spirale perversa, che genera una arretramento delle nostre libertà individuali, insicurezza e paure, nelle quali sguazzano a proprio agio le destre più nazionaliste e neonaziste che si siano mai viste in Europa dal secondo dopoguerra, guadagnando facili consensi nei Parlamenti nazionali e in quello Europeo, agevolate da una situazione economica e sociale di crisi e di mancanza di prospettive se non quelle del rigore e dei tagli alla spesa pubblica.

Daesh attinge i suoi proventi dalle ricchezze petrolifere che conquista e che riesce a rivendere, con meccanismi di dumping accertati, agli stessi Paesi che dicono pubblicamente di volergli fare la guerra ma che utilizzano lo scontro solo per fare i conti con le loro opposizioni interne: il caso della Turchia con le popolazioni curde è eclatante. Daesh non possiede fabbriche di armi, quelle che utilizza sono le stesse che sono vendute dai Paesi occidentali in maniera diretta o attraverso triangolazioni.

L’informazione indipendente, i movimenti pacifisti, molti intellettuali, denunciano questo da tempo, non per essere le anime belle del mondo, né per buonismo: solo per sano pragmatismo e per la consapevolezza che è necessario cambiare passo ora alle politiche della Comunità internazionale, se non è già troppo tardi… [Franco Uda, coordinatore nazionale Arci Pace, solidarietà e cooperazione internazionale,  da ArciReport, 24 marzo 2016]

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