Strati della cultura/ Ripartire senza tornare indietro

Ritrovarsi dal vivo per discutere, mettere in comune idee e proposte, (ri)conoscersi e esplorare nuovi orizzonti: la quattordicesima edizione di Strati della cultura dell’Arci, momento di riflessione e incontri per i circoli Arci di tutta Italia, è diventato da quattordici anni a questa parte un momento importante per auscultare il battito di quella cultura che, appunto, da sempre scorre nelle vene di Arci. L’edizione di quest’anno, ospitata dal Comitato di Parma, è particolarmente importante: la pandemia è stata sicuramente una dolorosa battuta d’arresto per l’intero terzo settore, ma anche occasione per ripensare e reinventare il contributo dell’associazione nel proprio territorio, aprendo pioneristicamente nuove, altre strade.
Tre giorni (dal 2 al 4 dicembre) per conoscere una moltitudine colorata e pulsante di realtà, cementando (grazie anche alla cucina emiliana) rapporti di amicizia e collaborazione tra quegli addetti ai lavori che animano l’instancabile attività dei circoli Arci di tutta Italia.

Conoscere è ripartire
Con un ricordo a Massimo Iotti, un «combattente con la schiena dritta» (nelle parole di Bruno Delmonte, Arci Parma) capace di vivere e costruire col proprio operato l’associazionismo in Emilia Romagna, Strati della cultura riprende, venerdì 3 dicembre, nello spazio accogliente del circolo Colombofili, la propria ricerca lì dove si era fermato, nel 2019, a Matera.

Ed è nella capacità dell’associazione di adattarsi alle esigenze di ciascun territorio in cui si trova, «riattivando» le persone, risvegliando in loro un fermento culturale diffusamente declinabile che ci si concentra: sia in alcune macro-riflessioni (l’esigenza di nuovi spazi in cui promuovere e «fare» attivamente cultura, il dibattito tra indipendenza di tali centri e fondi pubblici, il ruolo dell’arte nella società come diritto/valore tra Arci e provvedimenti statali) che nel racconto delle varie “Scintille”, esperienze portate da molti circoli partecipanti riguardo al lavoro negli scorsi due anni, capaci di accendere un fuoco duraturo anche nel futuro prossimo.

Laboratori urbani di sperimentazione collettiva, rigenerazione di spazi decadenti, ripopolamento culturale di territori umanamente desertificati e periferie, opportunità di formazione e pratiche artistiche offerte a chiunque, residenza artistica come soluzione di asilo politico, cinema: ciascuna delle esperienza raccontate nel corso della prima giornata di Strati della cultura confluiscono, come colori di una tavolozza, in un bellissimo affresco di un sistema associativo perennemente in bilico – nelle parole di Massimo Maisto, presidente Arci Emilia Romagna – tra struttura «leninista» e «anarchia», visto il principio di autodeterminazione e organizzazione di ciascun circolo; è proprio tale equilibrio ad aver permesso a molti e molte compagni/e di resistere all’urto delle chiusure con le norme sanitarie della prima ondata pandemica, riuscendo in molti casi non solo a garantire quell’apporto indispensabile di proposte culturali ed artistiche che rendono la vita di ciascuno/a meno grigia, ma anche costruendo – mattone su mattone, idea su idea – nuovi percorsi futuri che tengano conto delle difficoltà tutt’ora affrontate a prescindere dall’arrivo o meno di sovvenzioni esterne, a causa delle quali il rischio di diventare «progettifici» svuoterebbe di significato quella parte dell’associazionismo che mira a coltivare le passioni indipendentemente dal resto.

Ripartire sì, senza però «tornare indietro»: è Matteo Orfini, promotore della proposta di legge sul riconoscimento di luoghi e spazi della cultura, a porre l’accento sulla necessità di guardare avanti, e quest’esigenza viene condivisa dalla totalità degli e delle partecipanti agli incontri. Si mettono in comune visioni, racconti (dall’Abitata pietra lucana alla meravigliosa sinergia di Idee in circolo a Modena, passando per il Das bolognese, alla Scuola popolare di musica di Cremona), alla ricerca di una forza che solo quando condivisa, seppur declinata in mille sfumature diverse, può davvero «trainare oltre». In questo si inserisce la nuova iniziativa lanciata da Arci nazionale, La Cultura è la cura: venti realtà territoriali, unite da sperimentazione e innovazione, che rilancino la centralità delle attività culturali nell’equilibrio della salute di tutti/e, con particolare riguardo alle fasce più disagiate. [Sara Sostini, ecoinformazioni]

La cultura come lotta civile e politica
Allo storico cinema Astra di Parma viene proiettato in serata, in esclusiva per Strati della cultura, il lungometraggio Let’s Kiss – Franco Grillini Storia di una rivoluzione gentile di Filippo Vendemmiati (del regista si ricordano soprattutto il documentario sulla vicenda di Federico Aldrovandi È stato morto un ragazzo del 2010 e quello biografico sull’ex presidente della camera Pietro Ingrao dal titolo Non mi avete convinto, uscito nel 2012). Let’s Kiss è un biopic della figura di Franco Grillini, storico attivista per i diritti LGBTQI+ già militante comunista, membro di Arci, poi presidente Arcigay e parlamentare.

Presente in sala, Vendemmiati, già giornalista Rai a Bologna, riprende le parole d’introduzione del presidente di Arci Daniele Lorenzi raccontando dell’importanza dell’associazione per gli inizi della propria formazione politica e per il suo incontro con Franco Grillini. Protagonista e regista, che sono prima di tutto amici, raccontano al pubblico dell’Astra la militanza politica e gli aneddoti della loro storia personale, legata stretta alla vita sociale e politica di un paese alle prese con pregiudizi e tabù. Molti degli aneddoti citati si ritrovano poi nel film, nei filmati d’archivio dove Grillini ha aspri scambi con politici e personaggi televisivi conservatori e, chi più e chi meno, bigotti: Giovanardi, Fini, Casini, Donat-Cattin. Proverbiale lo scambio con quest’ultimo che nel 1987, quando l’Aids è una malattia diffusissima anche in Italia e lo stigma sociale verso gli omosessuali è forte, contrasta il propagandato utilizzo del preservativo affermando di non poterlo consigliare perché «può rompersi», dice. Quando Grillini risponde di voler distribuire preservativi gratis soprattutto alle signore il ministro, da gentiluomo, risponde «alle signore mando le rose [anziché i preservativi]». E Grillini chiosa con sagacia: «le rose hanno le spine e li bucano». Il giorno dopo questo siparietto migliaia di preservativi, per la prima volta in Italia, vengono distribuiti in piazza.

Let’s Kiss è un documentario piacevole, incalzante e spesso divertente ma non senza picchi dolceamari e commoventi. Nella pellicola la storia personale si intreccia con le battaglie civili, con l’Arci, con la politica della concretezza, del fare fuori dagli schemi per scuotere le coscienze; incontra la storia dei Pride come momento di affermazione di sé, aprendo e chiudendo la narrazione proprio con Franco Grillini e il regista a New York e richiamando i moti di Stonewall del 1969, le rivolte del movimento gay newyorkese contro la polizia considerate l’inizio della storia delle rivendicazioni LGBTQ+ d’oltreoceano.

Una scelta registica nel segno della circolarità che richiama l’importanza delle rivendicazioni di esistenza e resistenza politica collettiva ancora necessarie soprattutto in un paese come il nostro, che ancora attende importanti passi sulla scia di questa rivoluzione gentile. Che passino in primis da una diversa cultura, e nell’ultimo periodo qualcosa in questo senso si sta muovendo anche a Como, anche grazie all’operato di associazioni giovanili (Uds, Fridays for future, Collettivo 84) e di lavoratori che sottolineano l’importanza dell’intersezionalità delle rivendicazioni e utilizzano i social network come strumento per ritrovarsi, ancora una volta, in piazza. [Daniele Molteni, ecoinformazioni]

Insieme per migliorArci
Uno spazio particolare è riservato ai tavoli di lavoro di Strati della cultura sabato 4 dicembre: tre grandi temi (il destino dei live club, nuovi centri culturali e pratiche generative, welfare culturale) da affrontare di buon mattino, con la mente subito affilata dal freddo della pianura padana.

A Massimo Panarari, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, si deve, in apertura, un ottimo affresco su cambiamenti, percezioni e modi di comunicare odierni, di come la pandemia abbia ulteriormente cambiato le dinamiche e di come per chi fa cultura sia importante costruire una controparte nel dibattito politico e sociale, combattendo disinformazione e disintermediazione tra i soggetti, individuando i bisogni della società e costruendo luoghi in cui poter far ripartire un dibattito collettivo in gradi di formare cittadini migliori.

Ospitati questa volta da Arci Pulp, i e le partecipanti alle differenti discussioni di Strati della cultura si riuniscono per cercare di mettere a frutto le proprie conoscenze e riflessioni. Specialmente nell’ambito del welfare culturale, ci si è concentrati su tre differenti punti cruciali da affrontare: una maggiore cooperazione e comunicazione – verticale ed orizzontale – all’interno del «sistema Arci», la necessità di pensare ad un modo innovativo (e, se vogliamo, più moderno e di maggiore aderenza alle realtà quotidiane) con cui trasmettere i valori dei circoli come luoghi «aggregativi», trasformando i bisogni in desideri, ampliando le proprie funzioni (che passano dalla musica alla promozione della lettura, ad esempio) e fornendo una socialità alternativa ad una società che cambia.

In fondo, Arci è sempre stata anche questo. [Sara Sostini, ecoinformazioni].

Guarda la galleria completa delle foto di Dario Onofrio e Daniele Molteni.

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