L’altra Cernobbio/ La strada della pace

La seconda giornata de L’altra Cernobbio, tredicesimo convegno di Sbilanciamoci! si è aperto all’insegna di un tema cardine di quella giustizia sociale di cui tanto si è parlato nel corso della prima sessione. Come ha affermato Celeste Grossi, di Arci, non si può parlare di giustizia sociale, lavorativa e climatica senza un progetto di pace globale senza guerre e senza armi.
A discuterne, nella prima sessione di sabato 2 settembre, Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Pace e Disarmo, Martina Pignatti, presidente del comitato etico di Banca Etica, Emiliano Manfredonia, presidente delle Acli (in collegamento) e Sara Sostini, del circolo Arci ecoinformazioni.

Il respiro sistemico dell’iniziativa organizzata al circolo Arci Xanadù è stato ribadito, in continuità col dibattito sul binomio clima-lavoro, anche dalle primissime battute del secondo giorno. Vignarca ha infatti sottolineato l’importanza di una prospettiva sistemica che si opponga organicamente a quella proposta dal forum Ambrosetti a Cernobbio.
In questo senso, l’opposizione alla guerra non è qualcosa di limitato al tema bellico e degli armamenti, ma chiama in causa il complesso dell’allocazione delle risorse, dei fondi bellici e del loro possibile impiego in altri campi (sanità, conversione energetica, istruzione). Essere pacifisti oggi, concordano la moderatrice ed il portavoce di Rete pace e disarmo, significa essere utopisti concreti: portare una visione sempre più globale ed interconnessa e tradurla in una proposta articolata, strutturale e sistemica nel nome, prima di tutto, della nonviolenza.

Il discorso pacifista, dunque, ambisce ad ampliarsi e, anche in virtù del quadro elettorale presente e futuro (con le Europee alle porte), a farsi sempre più politico in nome del nesso tra società civile e sedi del potere.
In concreto, ciò significa demilitarizzare tanto l’immaginario quanto il quotidiano per minare dalle fondamenta il sistema bellicista riprodotto quotidianamente in Occidente e nel mondo. Pignatti, portando un esempio concreto dal suo ultimo viaggio in Ucraina, ha fatto notare come gli stessi soldi impiegati in arsenali sarebbero stati più che utili nell’estate dei roghi italiana.
L’economia di guerra, soprattutto col conflitto russo-ucraino, è una realtà globale ed apparentemente astratta ma estremamente permeante la realtà della popolazione europea. Solo Banca Etica, all’interno del comparto finanziario italiano per com’è oggi, è dissociata in toto da questo “sistema-ombra”. Non è un caso che questo progetto economico antimilitarista nasca in seno alla società civile, a dimostrare ulteriormente l’importanza dell’iniziativa dal basso, molto citata già nei panel della giornata di apertura, per sovvertire il sistema bellicista neoliberista.
Le Acli sono un organismo centrale nel concretizzare un discorso alternativo all’interno della società. Non c’è pace se non è pace integrale, non solo intensa come assenza di guerra (e soprattutto non solo come fine del conflitto in Ucraina) ma come progetto sociale complessivo.
Al di là dell’ispirazione cristiana di cui Manfredonia è portavoce, ciò che di universale e laico rimane rispetto al discorso pacifista è la necessità di costruire un dialogo che metta al centro le persone e marginalizzi la ricerca del profitto ed il nazionalismo che nega le differenze anziché organizzarle nei termini della convivenza e del reciproco rispetto.
In questo senso, se Banca Etica propone una finanza demilitarizzata, le associazioni ed i corpi intermedi hanno un ruolo centrale nel farsi portavoce di questo discorso alternativo, della contro-narrazione di cui già si parlava nelle conferenze di apertura della due giorni, nel quotidiano della società civile, nei luoghi di lavoro, di cultura, di ricreazione e di reciproca cura.

Agire nel concreto e fare contro-narrazione significa anche mostrare che la guerra non è una sola e non esiste solo quando coinvolge l’Occidente; ma soprattutto, significa guardare a tutte le soggettività vittime della guerra.
Intrecciatə, nata durante le manifestazioni pacifiste e antimilitariste in solidarietà ai ed alle cittadine coinvolte dalla violenza bellica in Iran, nasce esattamente con questo proposito. A partire dalla lotta per i diritti delle donne iraniane, questa rete nata nelle piazze comasche mette in discussione la dimensione patriarcale implicita in tutte le guerre, decostruendola a partire dal vissuto dei corpi coinvolti nei conflitti attraverso mezzi culturali siano essi dibattiti, film e documentari, musica o arte figurativa.
Se è vero che non c’è società civile senza cultura e senza persone, guardare alle persone significa anche partire da loro in una prospettiva artistica, dando loro agibilità e guardando al loro vissuto anche al di là della prospettiva economica, climatica e macrosociale.
Come suggerito negli interventi da Elio Pagani, portavoce di Abbasso la guerra, oltre ad intervenire rispetto alla società civile è necessario che essa stessa, a livello di cittadinanza, si mobiliti resistendo attivamente, nei limiti dei mezzi a disposizione, contro la guerra, le spese militari e le ingerenze internazionali in fatto di armamenti e sicurezza.
Un’opposizione che parte anche dai luoghi dell’istruzione: in questo senso, Pignatti ha chiamato ad intervenire gli studenti presenti in sala, che partecipano al convegno come portavoce di Rete della conoscenza, Uds e Link.
Ciò che emerge è, ancora una volta, l’impossibilità di slegare i discorsi e di affrontarli senza una visione sociale d’insieme. I luoghi del sapere, a cui sono stati tolti finanziamenti presumibilmente impiegati nel settore bellico e sempre più coinvolti da ingerenze aziendali nel settore bellico, sono poli fondamentali dello scontro tra la visione neoliberista e quella pacifista e antimilitarista. La mobilitazione studentesca in nome della pace è forte, e nei mesi autunnali si dispiegherà sul tema del disarmo, in particolare contro la base di Coltano.

La strada maestra, come anche rappresentato sul logo dell’iniziativa, è insomma una strada di pace. Pace significa antimilitarismo e pacifismo, ma anche giustizia climatica, economica, tutela dei diritti umani e delle identità plurali che caratterizzano più che mai la società globale.
Come già nei dibattiti su tema e lavoro, emerge allora il doppio binario attraverso cui costruire questo modello di pace e convivenza: pensiero ed organizzazione sistemica ed azione concreta, sui territori ma non solo, devono andare di pari passo. Se tutto ciò non può prescindere dalla cessazione della violenza internazionale, è chiaro come alla luce dell’interconnessione delle lotte e della complessità del presente il discorso di pace sia un discorso fortemente anticapitalista ed antiliberista, contro il modello del profitto progettato al forum Ambrosetti e teso, al contrario, al prevalere della logica della società civile e del rispetto dei diritti.
[Pietro Caresana, ecoinformazioni; foto di Betriz Travieso Pérez, ecoinformazioni]

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